giovedì 2 febbraio 2017

Scrittore e assassino, il corpo a corpo con Dio di Ahmet Altan








Sono circa a metà di Scrittore e assassino di Ahmet Altan, considerato uno dei maggiori autori turchi, attualmente in carcere per aver partecipato a manifestazioni a favore delle minoranze curde e armene e della libertà d’espressione nel suo paese. (Orhan Pamuk ha scritto un articolo sulla vicenda e ha firmato un appello in sua difesa)

È un noir, teso tra due poli: quello rosso della passione erotica e quello nero, delle lotte tra bande per la conquista del potere. Ma la parte più affascinante per me è il corpo a corpo dell’autore con Dio, il suo riflettere sul suo lavoro come diretta emanazione del mestiere di Dio: lui creatore delle storie dei suoi libri, Dio creatore di tutte le storie:

«Davvero ero finito lì per caso? Una coincidenza. Ma c’era una trama, un’intima coerenza e legami invisibili nelle coincidenze divine, e forse era proprio questo che rendeva il romanzo di Dio così avvincente. La capacità di far convivere coincidenza e trama. (…) Una serie concatenata di coincidenze. Dio le crea, ma attraverso di esser ci lascia liberi di scegliere come vivere. Seduto su questa panchina in questa calda notte d’estate, rabbrividendo per la paura, sento di aver costruito la mia vita con la complicità di Dio. Lui creava coincidenze come fossero case vuote che io dovevo arredare. Ognuno si sceglie una casa e la arreda a proprio piacimento. Ma in realtà Dio forniva anche l’ispirazione per compiere quelle scelte. Forse non è Lui il solo responsabile di tutto quello che è successo. Eravamo complici. Il crimine, l’abbiamo commesso insieme. Il peccato, pure. Lui aveva aperto la porta alle coincidenze, ma io mi ero addentrato. Sapeva in anticipo cosa avrei fatto? Lo sapeva. Mi conosceva. Io non conoscevo lui, ma lui conosceva me. Io parlavo con Lui, ma Lui non parlava con me. Di Dio pensavo che fosse un complice silenzioso e intoccabile: io sarei stato condannato, e il mio complice ne sarebbe uscito indenne. Che talento spettacolare. Generare tutti quei peccati e rimanere innocente. In questo consiste la tua grandezza, Dio? Riuscire a restare innocente nonostante tutti i tuoi peccati? Capisco Dio. Conosco il suo segreto. Chi potrebbe mai condannarmi per un omicidio commesso in un romanzo che ho scritto? Chi potrebbe mai accusarmi di aver fatto soffrire i personaggi dei miei libri? Chi potrebbe mai pensare male di me? Più male genero, più sono meritevole. Io sono solo uno dei romanzi di Dio. E voi non siete diversi. Dio si prende i meriti di tutto ciò che fa per noi e che a noi demanda. Edifici interi traboccano dei suoi libri. I suoi romanzi vengono letti più di quelli di chiunque altro. È un collega talentuoso. Io scrivo meglio di te, Dio. Il tuo linguaggio è incoerente. Anche la tua struttura narrativa è confusa. Ma tu sei più convincente di me. E le tue trovate sono meravigliose. L’idea del peccato è a dir poco grandiosa.

(…) Ma diciamoci la verità: i tuoi lavori d’esordio non sono un granché. Qual era l’accordo con i dinosauri? E tutto il resto. Quel capitolo era noioso e approssimativo. (…) Nemmeno il seguito è eccezionale. Prima hai creato la natura. Credimi, la trama era semplice. La sopravvivenza della specie. Nessuna complessità, congiura o sorpresa. Noioso. Sei ripetitivo all’inverosimile. Sarai stanco di tanta monotonia. (…) Quindi, guarda, l’essere umano è un ottimo personaggio per un gran libro come il tuo. È in questo che puoi dimostrare la tua bravura. Come ti è venuto in mente? (…) Gli esseri umani appaiono troppo tardi nel romanzo: questa è la mia unica critica.

(…) Noi ci limitiamo a descrivere ciò che tu hai creato. Questo è ciò che ti rende diverso.

(…) Permettimi di spiegarti ora perché il tuo romanzo vacilla. Tu sei incapace di punire i malfattori. Infatti, se combattessi i malvagi punendoli, se la cattiveria non restasse impunita, allora nessuno persevererebbe nel commettere crimini? (…) Nonostante tutte le tue intimazioni a lottare contro il Male, e le punizioni che pendono sulle teste dei malfattori, questi alla fine vengono sempre ricompensati. È qui che vacilla il tuo libro. E se non riesci a risolvere il problema in questo libro, rimandi la soluzione all’aldilà, al prossimo libro. Ma questa non è la soluzione giusta, puoi starne certo. Un libro ben strutturato può lasciare il finale al “sequel”, ma tu non hai altra scelta. Parlando francamente, mi sembra che tu sia stato un po’ frettoloso. Se tu fossi riuscito a trovare un modo per punire il Male, pur mantenendo una narrazione in cui esso esiste, beh, allora quello sarebbe stato un vero capolavoro. Il male impunito serve solo a distruggere i tuoi sforzi romanzeschi.
(…) Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare: il concetto del Bene e del Male sono opera tua. È stata una grande trovata. Sei unico nel creare concetti, è solo che non riesci a intrecciarli come vorresti in una sorta di trama narrativa, c’è sempre un approccio blasé, un atteggiamento menefreghista. Come ti è venuta l’idea del Male? Quale hai scoperto prima il Male o il Bene?»

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