«Il postino del paese era un uomo
solitario, senza ambizione, che alla passione per i pensieri astrusi univa
quella per le lettere d’amore. Le riconosceva senza aprirle, come se portassero
impresso sulla busta l’impronta degli amanti. Ne aveva viste d’ogni tipo:
eleganti, posticce, scritte dietro un volantino di campagna elettorale e su pezzi
di carta igienica, sull’ultima pagina strappata di un romanzo o sulla carta del
pane ancora sporca di farina. Le lettere d’amore che fanno diventare tutti
poeti e che non fanno dormire, le lettere d’amore magiche che ripetono le
stesse cose ma sempre con parole diverse, cesellate con cura come se
l’imperfezione d’una lettera fosse più temibile del più temibile rivale. Le
lettere d’amore che apriva più delicatamente, per ultime…»
Siamo nel 1969, l’anno dei primi
passi umani sulla luna, ma a Girifalco – uno dei tanti luoghi ai margini di
quella che, sola, appare come “La Storia” – l’arrivo di una lettera è ancora un
evento carico di attese: «Si potrebbe scrivere un libro su come le persone
aspettano i postini, e coglierne, dai modi dell’attesa, lo stato d’animo, le
sensazioni, i pensieri. Nascondersi dietro i vetri con discrezione, per vedere
senza essere visti, è tipico delle persone macerate da un dolore profondo, che
hanno paura di esporsi […] A tutt’altra razza appartengono le persone che non
hanno paura delle sconfitte e che anzi, il dolore, lo portano con orgoglio,
come un trofeo. Aspettano il postino sedute sui gradini per ricevere la lettera
in mano e aprirla subito […] Ci sono infine i baldanzosi, che le disgrazie non
le attendono ma ci vanno incontro, senza timore.»
Il postino di Girifalco – protagonista
del bel romanzo d’esordio di Domenico Dara (nato a Catanzaro nel 1971, vive e
lavora tra Como e Milano) Breve trattato
sulle coincidenze, premio Calvino 2013, pubblicato l’anno successivo da
Nutrimenti – le lettere non solo le porta, ma le apre e le ricopia con la sua
grafia capace di riprodurre quella degli effettivi autori delle missive. La sua
casa solitaria è l’archivio di «un campionario di sentimenti umani: sogni
irrealizzati, desideri inconfessati, promesse ritrattate, dichiarazioni
sussurrate, ingiurie, ricordi, nostalgie, speranze: parole scritte in
solitudine che attraverso di lui chicàvanu a destinazione, ed egli si
inorgogliva di essere la fase finale e decisiva del compiersi di un destino…».
La vita, più che viverla, il
postino la guarda, osservando le coincidenze, che mano
mano, a starci attenti, svelano il senso dei fatti, e, soprattutto, la legge nelle parole scritte da altri.
Rimane sempre fuori dalle vicende che vi si narrano finché una lettera che
evoca un’altra lettera – quella che ha segnato la sua vita – lo porta ad
intervenire direttamente in alcune storie dei compaesani, per nascondere a una
madre la morte del figlio emigrato, per evitare che la passione giovanile possa
distruggere la famiglia della maturità, per impedire che il bosco diventi
discarica per i loschi interessi di alcuni politici.
Breve trattato sulle coincidenze, quasi una favola sui toni del
realismo magico, e, in qualche modo, anche (nonostante l’età del protagonista
non sia adolescenziale) romanzo di formazione: perché il protagonista
acquisisce, via via, consapevolezza del senso della propria scelta di nascondimento non come frutto di una
sorta di incapacità ma come assunzione di responsabilità rispetto alla realtà.
Notevole la lingua: il dialetto
non è qui un vezzo, una moda, non è aggiunto e neppure mescolato alla lingua: è
colore, odore, sapore, carne e sangue dell’italiano.
Una bella storia, una bella
lingua, un protagonista difficile da dimenticare, tantissimi personaggi ben
cesellati. Un libro profondamente calabrese, che non parla di ‘ndrangheta, non
fa analisi sociologiche, non dà messaggi politici: semplicemente racconta una
storia (tante storie) di solitudine e di parole (che possono, se non superarla,
renderla meno triste, più dolce).
Ne potrebbe venir fuori un gran
bel film.