Quando
è stata pubblicata La paranza dei
bambini, ho fotocopiato i primi capitoli e me li sono portati in classe.
Volevo verificare la possibilità di leggerlo e parlarne insieme, scriverne su
aspetti specifici, magari su semplici, indirette, suggestioni nate dalla
lettura. Quello che ho fatto, nel tempo, con alcuni libri e, quest’anno,
insieme ad un gruppo di ragazze, con Gli
altri e io di Isabella Bossi Fedrigotti.
Ma
la lettura, con un gruppo abbastanza numeroso di ragazzi e ragazze, non è
andata molto oltre.
E
non per l’insofferenza che il solo nome Saviano
suscita nella quasi totalità dei nostri allievi che lo accusano di “farsi i
soldi” toccando argomenti su cui auspicano il silenzio, ma per noia. Perché quello che leggevano gli sembrava
vecchio, stantio.
-
C’è qualcosa di
falso, qualcosa di sbagliato?, chiedevo.
-
No,
dicevano.
-
E allora?,
continuavo
-
Niente di nuovo, rispondevano.
E aggiungevano:
-
Cos ‘e nient.
Insomma:
un racconto non troppo lontano dalla realtà, ma un po’ all’acqua di rose: non
sufficientemente crudo.
***
Qualche
mese dopo, ho portato in classe alcuni commenti ad un fatto di cronaca: le
intercettazioni che mostravano alcuni bambini/ragazzini al lavoro nel commercio di droga di un clan. Alcuni di questi commenti
richiamavano alla necessità di prolungare l’orario scolastico e/o di promuovere
interventi sociali nei quartieri più a rischio. Ho chiesto ai ragazzi e alle
ragazze se questi tentativi avrebbero potuto produrre il risultato di sottrarre
ad un futuro illegale quei ragazzi e la risposta, unanime, è stata: no.
-
Né più scuola, né
più sport, né più teatro, né più verde possono bastare, mi hanno risposto.
-
E allora? – ho
chiesto io.
-
L’unica è mandarli
lontano da qui, ma da piccoli piccoli.
La
risposta mi ha sorpreso perché, fino ad ora, quando abbiamo letto qualche testo
che, anche vagamente, ipotizzava l’allontanamento dalla famiglia, mi sono
trovata davanti ad un muro. Quando, tempo fa, ho portato in classe articoli
sulle scelte in questo senso del Tribunale dei minorenni di Reggio, il coro di
no è stato unanime.
***
In questi giorni ho portato in classe articoli che
raccontano come alcuni boss di ‘ndrangheta stanno riconoscendo come giuste e
positive per i lori figli le scelte dei magistrati reggini e ho posto loro tre
domande: 1) Che cosa pensate della scelta dei magistrati reggini? 2) Con questa
scelta, i ragazzi cresceranno meglio? 3) Come reagireste voi se qualcuno
volesse allontanarvi dalle vostre famiglie? Alla prima domanda, tutti hanno
risposto che la scelta è giusta. Risposta confermata dalla seconda, in cui
hanno sostenuto che certamente i ragazzi avranno una vita migliore. Alla terza,
quasi tutti hanno risposto che l’allontanamento dai genitori e soprattutto
dalla madre è ipotesi da non fare neppure per scherzo, farebbero il diavolo a
quattro e non l’accetterebbero mai. Ma qualcuno ha detto che, se i genitori
decidessero in tal senso, allora se ne andrebbero sereni, convinti che sarebbe la scelta giusta per il loro futuro e qualche altro ha detto che avrebbe certo sofferto molto, ma si sarebbe abituato e avrebbe finito col vivere meglio. E più d’uno, guardandosi non come
figlio bensì come padre, ha detto che, con la morte nel cuore, sarebbe
disponibile a lasciare andare via suo figlio, proprio per evitare che i suoi
errori potessero ricadergli addosso: “Meglio soffrire io che mio figlio.” A
condizione che “lui mi vorrà sempre bene e mai mi odierà.”
Frammenti
di scuola.
Altrettanti
buchi nello stomaco.
E
domande ineludibili per la società.
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