Premessa.
Stimo molto il dottor Di Bella (non lo conosco). Sono convinta che la scelta di
allontanare i figli dei boss dalle loro famiglie, che il Tribunale dei minori
di Reggio Calabria sta facendo da quattro anni a questa parte, riguardi dei
casi in cui la decisione rappresenta l’extrema
ratio e che venga condotta con tutta l’attenzione e la cura che meritano.
E, naturalmente, auguro ai ragazzi in questione un futuro felice. Lo stesso
vale per la decisione assunta dai magistrati napoletani in seguito a intercettazioni
che, nell’ambito di numerosi arresti di un clan, hanno evidenziato che a lavorare con la droga erano anche
bambini.
Ho non pochi dubbi, però, che l’allontanamento dalle loro famiglie dei figli di
‘ndranghetisti, mafiosi e camorristi, possa essere una scelta di carattere generale, ovvero non limitata a casi specifichi (per età, e/o situazioni personali, familiari e ambientali particolari).
Li
ho sul piano teorico e su quello pratico. Sul primo, porrei una domanda
su tutte: con quale diritto lo Stato interviene così pesantemente sulla vita di
alcune famiglie e non, per esempio, anche sui figli di politici, avvocati,
medici, burocrati ecc. ecc. corrotti e corruttori, che inquinano la vita della
società in maniera diversa ma non meno grave dei primi? Sul secondo, mi sembra
che, alla lunga, e sempre escludendo casi particolari, i ragazzi allontanati
possano sentirsi incolpevolmente puniti,
in qualche modo deportati, sviluppando
diversi ma non inferiori sentimenti antisociali.
Mi
sembra, insomma, una scelta che, come dice Cantone, sa di dichiarazione di
sconfitta da parte dello Stato, che, incapace di agire sull’ambiente, prova la
scorciatoia con l’anello più debole.
La
conoscenza diretta di tanti ragazzi figli di famiglie appartenenti alla
malavita organizzata mi ha sempre confermato nella convinzione che la scelta
più giusta sia quella di offrire loro opportunità che mostrino come l’esistenza
non ha necessariamente una sola dimensione, che si può vivere una vita più libera
e felice nell’ambito della legalità.
Ultimamente,
come ho scritto nel post Frammenti di
scuola, ho però registrato posizioni dei ragazzi ristretti molto diverse da
quelle cui ero abituata.
Ragazzi
che hanno sempre vivacemente sostenuto che il cambiamento dipende solo da loro,
dalle loro scelte e non dalle proposte che gli vengono dall’esterno, si dicono,
ora, non solo favorevoli in generale ai provvedimenti di allontanamento, ma,
addirittura, qualcuno, pur sofferente, non lo escluderebbe per se stesso, o
nella versione di figlio o in quello di padre.
Mi
sembra la spia (saggia? disperata?) del crescere di un
senso, pesante, di impotenza, che andrebbe ascoltato con
attenzione: decodificandolo bene.
Ripreso da Zoomsud il 23 febbraio:
Ripreso da Zoomsud il 23 febbraio:
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