martedì 21 febbraio 2017

Togliere i figli ai boss? I miei dubbi









Premessa. Stimo molto il dottor Di Bella (non lo conosco). Sono convinta che la scelta di allontanare i figli dei boss dalle loro famiglie, che il Tribunale dei minori di Reggio Calabria sta facendo da quattro anni a questa parte, riguardi dei casi in cui la decisione rappresenta l’extrema ratio e che venga condotta con tutta l’attenzione e la cura che meritano. E, naturalmente, auguro ai ragazzi in questione un futuro felice. Lo stesso vale per la decisione assunta dai magistrati napoletani in seguito a intercettazioni che, nell’ambito di numerosi arresti di un clan, hanno evidenziato che a lavorare con la droga erano anche bambini.

Ho non pochi dubbi, però, che l’allontanamento dalle loro famiglie dei figli di ‘ndranghetisti, mafiosi e camorristi, possa essere una scelta di carattere generale, ovvero non limitata a casi specifichi (per età, e/o situazioni personali, familiari e ambientali particolari).

Li ho sul piano teorico e su quello pratico. Sul primo, porrei una domanda su tutte: con quale diritto lo Stato interviene così pesantemente sulla vita di alcune famiglie e non, per esempio, anche sui figli di politici, avvocati, medici, burocrati ecc. ecc. corrotti e corruttori, che inquinano la vita della società in maniera diversa ma non meno grave dei primi? Sul secondo, mi sembra che, alla lunga, e sempre escludendo casi particolari, i ragazzi allontanati possano sentirsi incolpevolmente puniti, in qualche modo deportati, sviluppando diversi ma non inferiori sentimenti antisociali.

Mi sembra, insomma, una scelta che, come dice Cantone, sa di dichiarazione di sconfitta da parte dello Stato, che, incapace di agire sull’ambiente, prova la scorciatoia con l’anello più debole.

La conoscenza diretta di tanti ragazzi figli di famiglie appartenenti alla malavita organizzata mi ha sempre confermato nella convinzione che la scelta più giusta sia quella di offrire loro opportunità che mostrino come l’esistenza non ha necessariamente una sola dimensione, che si può vivere una vita più libera e felice nell’ambito della legalità.

Ultimamente, come ho scritto nel post Frammenti di scuola, ho però registrato posizioni dei ragazzi ristretti molto diverse da quelle cui ero abituata.

Ragazzi che hanno sempre vivacemente sostenuto che il cambiamento dipende solo da loro, dalle loro scelte e non dalle proposte che gli vengono dall’esterno, si dicono, ora, non solo favorevoli in generale ai provvedimenti di allontanamento, ma, addirittura, qualcuno, pur sofferente, non lo escluderebbe per se stesso, o nella versione di figlio o in quello di padre. 

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