Cara Viola Ardone,
mi sono premurata di leggere Un dettaglio
minore della Shibli proprio perché il suo premio a Francoforte è stato
sospeso (non annullato). Si tratta di un libro – non un capolavoro letterario,
un libro di narrativa, cui ciascuno può dare la valutazione che più corrisponde
al proprio gusto – che vuole suscitare nel lettore tutta l’insofferenza
possibile verso Israele. Posizione che rispecchia un sentimento legittimamente
diffuso tra i palestinesi, (la pessima politica di Israele verso i palestinesi
è ben narrata anche da grandi autori israeliani) oppressi in vero anche dalle
politiche dei paesi arabi, dall’inadeguatezza della loro leadership e non
ultimo dal barbaro attentato di Hamas. Ma non è certo compito di uno scrittore
fare lo storico, il politologo ecc. ecc; uno scrittore può essere un forte
riferimento per tutti anche se la sua visione è partigiana proprio nel senso di
illuminare solo una parte del problema.
Non ho una conoscenza adeguata della narrativa palestinese e
non so se la Shibli rappresenta, attualmente, il suo massimo. Voglio dire: se
decidendo di premiare un/una palestinese il suo nome era quello più giusto. Io
non so se l’avrei fatto, ci sono due passaggi decisivi nel libro, quelli più
decisivi che, a me, non sembrano costruiti adeguatamente: ma, questo rilievo,
non è niente più che un’opinione, un gusto personale.
Essendo, però, stata decisa la premiazione, io l’avrei
mantenuta. Ma, visto il momento, accompagnandola con un dibattito a più voci,
sul tema: cosa possono fare gli scrittori per contribuire al diffondersi, tra
popoli così provati e che hanno entrambi diritto a vivere in pace e sicurezza,
di una nuova cultura, della capacità di “riconoscersi” reciprocamente, della
volontà di cercare compromessi possibili?
Mio commento su Fb all'articolo di Viola Ardone pubblicato sulla Stampa del 19 ottobre e intitolato Perché Schibli va premiata adesso.