giovedì 28 febbraio 2013

Grazie, papa Benedetto


 
Ormai “semplice pellegrino”, Papa Benedetto XVI ha, pochi minuti fa, salutato per l’ultima volta dalle finestre di Castel Gandolfo.

Chiunque gli succederà avrà la mia devozione e il mio affetto.

Ma, sul piano delle emozioni, Ratzinger è stato, e resterà, il mio Papa.

L’anno successivo alla sua elezione,  andai ad una sua catechesi del mercoledì. Mi colpì, quando passò vicino anche a me – in lui così fine intellettuale – lo sguardo più candido della veste: candido come di un bambino stupefatto d’amore.

Lo stesso sguardo con cui ha benedetto stasera l’affetto di quelli che la sua scelta l’hanno accolta come un supremo gesto di dedizione.

 
Ps. Ho pianto, stasera, di emozione colma di speranza. E mi ha fatto piacere anche un piccolo particolare. Quel “Repubblica Italiana” stampato sull’elicottero bianco dell’immagine che, in assoluto, era la meno prevista del mondo. L’ho avvertito, quello scritto, come una metafora: nonostante tutto, anche noi siamo dentro la storia che si rinnova.

mercoledì 27 febbraio 2013

Lettera aperta a Mario Monti


 
 
Gentile sen. Monti,

sono tra quei sedici milioni di italiani che hanno votato in maniera diversa da quanto avessero (nel mio caso, sempre) fatto in passato.

Ho votato la sua lista per fiducia in lei  (penso che il discorso,  a forte carica retorica, fatto alla presentazione dei suoi candidati a Roma da Edoardo Nesi corrisponda alla verità dei fatti) e nel suo programma, anche se ho trovato ben poco convincenti molte sue scelte elettorali.

E’ chiaro che, adesso, si tratta di trovare una modalità di governare il Paese, che l’attenzione, insomma, vada centrata su altro. Ma, bene che vada, torneremo alle urne ben prima di cinque anni.

Non so se lei avrà voglia e modo di un’altra campagna elettorale, ma, nel caso, mi permetta un’osservazione, per quanto minima.

Durante questa campagna, lei è passato rapidamente da Napoli e –  portato da non so chi tra i vicoli del centro storico e, immagino, con non poca difficoltà da parte sua – si è lasciato fotografare con in mano la pizza e un pulcinella.

Se capiterà una prossima occasione, non lo faccia. Si faccia fotografare in situazioni diverse. Vada da altre parti, in altri luoghi. Ce ne sono tantissimi, dove c’è molto da capire, tanto da apprendere.

Uno, potrei indicarglielo anch’io. E’, anch’esso, un po’ rischioso, perché sono in tanti a passarci giusto per fare passerella, ma, se ci si ferma con attenzione, può davvero essere un luogo che sommuove, che costringe all’empatia (razionale) con i problemi profondi, strutturali, quelli che dovrebbero essere carne e sangue di ogni agenda politica.

Venga* a Nisida, la prossima volta (NB: il suo ministro della Giustizia, Paola Severino, è venuta: è stato un bell’incontro). E’ un carcere minorile. La nostra legislatura minorile è molto avanzata, fa del carcere, per i minori, una realtà “residuale”. Eppure, a Napoli, ce ne stanno tanti dentro, ragazzi e ragazze: segno profondo non solo di scelte individuali errate, ma, soprattutto, di profonde problematiche sociali-economiche-culturali che rendono la realtà meridionale così difficile da affrontare per tutti. Un piccolo specchio, insomma, che permette di inquadrare una realtà ben più ampia.

Non mi dilungo, professor Monti, non intendo sottrarle tempo, visto che anche queste sue ultime giornate da presidente del Consiglio non sono certo facili.

Ma, nel caso, ci pensi.

Cordialmente, con immutata stima,
M. F.
 
 
 
* naturalmente, io non ho alcun titolo ad invitarla, ma lei, da senatore, può visitare qualsiasi carcere

 

 





 

 

 

 

 

 

martedì 26 febbraio 2013

Nota post-elettorale


 
 
Mario Monti (che ho sostenuto e il cui non soddisfacente risultato elettorale mi dispiace non poco) - insieme alla costante e ferma indicazione che il futuro dell'Italia sta dentro quello dell'Europa - aveva ben compreso due temi:
 
- che i due grandi partiti, Pdl e Pd (e le relative coalizioni) sono esausti: lo è il Pd, non in grado di vincere davvero neppure queste elezioni, e lo è il Pdl, che appare oggi vincente solo per il proprio forte recupero di consensi e la mancata vittoria reale del Pd;
- che il rinnovamento deve partire dalla società civile, dalle persone che lavorano e affrontano il quotidiano.
 
Lo svolgimento delle due tracce non è stato, però, all’altezza: e per le modalità, tutt’altro che incisive, della sua campagna elettorale; e per la compagnia, in parte discutibile (e di persone di partito e di persone non di partito) di cui si è circondato (senza nulla togliere alle tante, belle persone che, pure, sono salite in politica con lui).
 
Ha vinto Grillo, che porta  questi due  stessi aspetti all’eccesso con uno spirito che, al momento, pare molto più attento alla “distruzione” rispetto alla “costruzione”.


In questo contesto, sapranno i partiti, quelli acciaccati e quelli vincenti - e, soprattutto, il Pd - a trovare la strada per non far precipitare il paese nel baratro?

 

lunedì 25 febbraio 2013

L'ultima lettera da 'za C.

“Sai come sono fatti gli uomini…”. Tra pause ed accelerazioni, uno sguardo e un voltarsi, ‘a ‘za Catuzza raccontò ‘o ‘zi ‘Ntoni l’ultima pena di donna Mariuzza: voleva, per la prossima Pasqua, fare un’infornata di ‘cudduraci da mandare alle figlie sposate, che abitavano lontano, proprio alla fine della strada che portava alla città. Ma il marito s’opponeva: troppo spreco di zucchero e farina, troppe uova e, poi, lui non aveva tempo da passare col forno né d’avviarsi in città con tutto il da fare che teneva in quei giorni in campagna. Il racconto fu lungo, minuzioso, ripetuto: sussurrato e insistito al punto giusto. “Che dici se viene a impastare qua? Tu ce li metti dentro il forno, per il resto ce la vediamo noi…”. ‘U ‘zi ‘Ntoni – ch’aveva un debole a farsi vedere uomo superiore a certe meschinerie – si ritrovò ad abbozzare un sì. Venne donna Mariuzza che non erano ancora le quattro del mattino. Impastarono dieci chili di farina, riempirono le landedi metallo di cuori e colombe e panieri di pasta fragrante, ognuno un tripudio di uova sode trattenute da ghirigori di impasto. Lui cominciò a infornare e il profumo inondò la rua. Donna ‘Mariuzza si sfregò le mani nel grembiule scuro, salutò e, rapida, ne tornò a casa. ‘A ‘za Catuzza spiegò ‘o ‘zi ‘Ntoni: “Poi se li viene a prendere… poveretta, il marito la controlla di tutto, le tiene conto al centesimo”. Nel pomeriggio, ‘u ‘zi ‘Ntoni le disse quello che già lei sapeva: “Domani vado a Reggio, perché…”. Lei assentì: “Bene, bene” e rimase zitta per un po’. Poi, come colta da un improvviso pensiero: “’Ntoni, che dici? Qua c’è roba di ‘Titina… tu fai quella strada, magari, se non t’è d’impiccio, gliela puoi passare”. Lui disse di sì: tanto non aveva niente da metterci all’andata, ma si doveva portare i cofani per il ritorno. E così, senza neppure sospettarlo, portò alla figlia da ‘za Catuzza le decine di cudduraci che donna Mariuzza, la più brava del paese, aveva impastato, ben ricompensata con due scossate di fagioli o di cicerchia. Alle giovani, troppo timide spose, donna Catuzza lo diceva sempre: “L’omini sannu ‘a fari curnuti e cuntenti”.
Una diecina, forse quindici, anni dopo la storia dei cudduraci - la domenica pomeriggio, quando andava in giro per parenti, Rosa se li trovava seduti al sole, in un cortile su cui si affacciavano tre piccole case. Oppure, 'u 'zi 'Ntoni si faceva la barba, spennellandosi abbondantemente il viso davanti a uno specchio messo, insieme ad una bacinella d’acqua, sul cornicione della finestra e lei sfaccendava in cucina – in fatto di cibi non c’era segreto che non conoscesse; il profumo dei suoi maccheroni tirati col ferro da calza arrivava fin sulla strada. Ma, qualunque cosa stesse facendo, rapida, ‘a ‘za Catuzza andava a prendere le lettere arrivate in quei giorni perché la giovane gliele leggesse.
Analfabeta, 'a 'za Catuzza coltivava una ricca corrispondenza con le figlie e i nipoti lontani, soprattutto con quello che chiamava “gioia e tesoro”. Rosa scriveva, sotto dettatura, cinque, sei lettere a volta, ripetendo sempre le stesse cose: “Ho ricevuto la tua lettera e sono contenta di sapere tue notizie. Io sto bene e così spero di te”, e allargava i caratteri perché, se avesse usato la sua normale grafia, il foglio, ripiegato in due, sarebbe rimasto quasi tutto bianco. La corrispondenza s’infittiva nei periodi in cui qualcuno dei parenti scriveva che sarebbe sceso giù, in Calabria, magari per l’estate e allora 'a 'za si affannava a ripetergli di venire, che il tempo era bello e la frutta era buona, mentre ‘u ‘zi ‘Ntoni, i folti baffi bianchi impettiti, si preoccupava di controllare ogni giorno i fichi mulingiana – perché i più belli maturassero giusto per la venuta di “gioia e tesoro”. Che, poi, era nipote solo di lei, che, da giovane, lasciati marito e figlie, se n’era venuta a vivere in paese ‘cu ‘zi ‘Ntoni, che, a furia di villanie, s’era lasciato scappare la moglie vera, una giovane bianca di carnagione e delicata nei modi che lui s’era portata lì da una lontana città sul mare.
Quando s’era messo con la ‘za Catuzza, ‘u ‘zi ‘Ntoni – tornato anni prima dall’America, “cu ‘nu busciulu ‘i sordi” – possedeva un bel pezzo di terra fertile di mandorli e un orto vicino casa. Ma, per quanto lavorasse, i suoi beni non crescevano mai. Perché, si diceva in giro, lei lo “spogliava” per mandare quanto più poteva alle figlie, via via che si facevano grandi e avevano bisogno del corredo.
Rosa aveva cominciato a leggere le loro lettere – scritte di fretta e quasi per forza, come un peso di cui liberarsi – quando ormai le figlie avevano nipotini grandicelli e, ad ogni invito di ‘za Catuzza – scendete, scendete, venite a trovarmi – cercavano scuse: che la nuora mancava e dovevano tenere il nipotino, che il marito non poteva in quel momento restare solo, e, soprattutto, che stavano male. Malattie cui la ragazza non riusciva a credere, soprattutto quando, in inverno, ‘a ‘za Catuzza finiva a letto con qualche bronchite e – il volto magrissimo perso nel lettone con i doppi materassi – le diceva di scrivere, come sempre, “sto bene e così spero di te”. A volte, quando accennava alla possibilità di mettersi su un treno e di risalire la penisola, promettevano di scendere subito, al massimo tra quindici, venti giorni. Poi, regolarmente, prendevano la storta a un piede o il medico gli consigliava di non muoversi.
Dopo la morte di ‘u zi ‘Ntoni – che, perfettamente sano fino a quel giorno, ben poco sopravvisse ad un’improvvisa paralisi – le lettere della ‘za Catuzza erano ormai dirette quasi solo al nipote prediletto. “Vieni – scriveva Rosa – prenditi la casa, i materassi, i mobili. Alla Posta ci sono 800mila lire, 500 te le prendi tu e 300 le usi per il mio funerale”. Il nipote rispondeva tergiversando, le figlie scrivevano ormai di rado: “Mamma, vorremmo venire ma… Voi siete ingiusta a dire che non vi trattiamo…”. Lei dimagriva e s’incurvava ogni giorno di più e continuava a dettare, con voce sempre più roca, lettere sempre più brevi: “Vieni, T., che il prossimo anno non ci sarò più… I., tua sorella almeno ha il marito malato, ma tu puoi scendere… G., proprio ora che t’ho bisogno vicino non ci sei…”. Spesso era Rosa ad aggiungere una postilla: “Questa volta non sopravvive, scendete”. Non venne nessuno.
L’ultima lettera, 'a 'za Catuzza gliela dettò poco prima di Natale, quasi invisibile nel lettino bianco, i capelli non più intrecciati sulla nuca, ormai senza voce. Erano le sue mani a slanciarsi in un grido, invocando la figlia più piccola. I. – che non aveva mai scritto un rigo, lo faceva suo marito – non scese per i funerali. G. telefonò a una vicina: “Signora – pianse con un accento del Nord – lei che è stata vicina alla mia mamma, le raccomando di darl le un bacio da parte mia”.
Pubblicato su Zoomsud con il titolo I cudduraci da 'za Catuzza  http://www.zoomsud.it/commenti/47902-i-cudduraci-da-za-catuzza.htm

domenica 24 febbraio 2013

Che l'Italia salga. Tutta


 
Tra domenica 24 e lunedì 25, comunque, l'Italia svolterà. Comincerà un altro tempo.

Se arriviamo alle elezioni molto acciaccati ma  comunque in piedi lo si deve al governo safety car di Monti.

Io mi auguro che l’Italia salga. Tutta. Che ne venga fuori un Parlamento che affronti la realtà: con sobrietà, serietà e fuori demagogia.

E un governo che sappia coniugare le attese di chi ha più bisogno, l’urgenza della crescita economica-sociale-culturale e la necessità di porsi in Europa con la credibilità necessaria a ottenere il rispetto che la nostra storia e noi stessi meritiamo.

Rimando a questo mio pezzo su Zoomsu: http://www.zoomsud.it/commenti/48034-il-voto-di-pancia-lanalfabetismo-di-ritorno-e-lironia-reggina.html



 

 

 

martedì 19 febbraio 2013

La (mia) riscoperta del Latino


 
Per lavoro, torno a occuparmi di Roma e Romani con un’intensità che ho lasciato al liceo "Tommaso Campanella" (all’Università ho studiato e ristudiato Storia dal Medioevo in poi; da insegnante, fatti salvi alcuni cenni dalla preistoria a seguire, mi sono dedicata soprattutto a quella Moderna e Contemporanea).

E, con una  certa meraviglia, visto che al Liceo ho fortemente amato il Greco e molto meno la lingua di Roma, scopro che il Latino mi appassiona. Più di molte letture d’oggi.


Rimando alla lettura su La Stampa di oggi del bell'articolo di Alberto Mattioli su
La riscossa del latinorum http://www.lastampa.it/2013/02/18/societa/la-riscossa-del-latinorum-f7MvGVmwMLPZn14Rk9trZP/pagina.html


Nella foto, la targa della via reggina dedicata alla figlia di Augusto,  Giulia, che, esiliata dal padre, passò alcuni anni nella città calabrese.
 

mercoledì 13 febbraio 2013

Dove soffia lo Spirito


 
 
Nel Tempo di Quaresima che iniziamo, rinnoviamo il nostro impegno di conversione dando più spazio a Dio
Benedetto XVI, Mercoledì delle Ceneri, 13 febbraio 2013


Quando si ripete il detto evangelico che lo Spirito soffia dove vuole, si pensa  naturalmente a quanto di più lontano appare dallo Spirito -  quelli di fuori, i peccatori in qualche modo pubblici, chi non ha nessun ruolo sociale o posto preminente ecc. ecc.

La decisione di Benedetto XVI in qualche modo sbatte di fronte agli occhi di tutti che lo Spirito soffia proprio dove vuole.




12:21 – OggiTweet del Papa: "Dare più spazio a Dio"
Subito dopo l'udienza generale, Benedetto XVI ha twittato di nuovo. I suoi cinguettii erano fermi al 10 febbraio. Questo l'ultimo tweet:
@ Pontifex_it : Nel Tempo di Quaresima che iniziamo, rinnoviamo il nostro impegno di conversione dando più spazio a Dio.


 

 

 

Prima che inizi Quaresima


 
Ho un cuore eremita. Sono

impastata di silenzio e di vento.

Sono antica.

Mariangela Gualtieri


Sta per iniziare un tempo speciale.
 
Mai una Quaresima, nel tempo della mia generazione, è stata tanto speciale, tanto potenzialmente forte.
 
Un tempo che potrebbe segnare la Storia e, su piani diversi, sarà importantissimo per l'Italia.
 
Ogni giorno meriterebbe parole speciali. Parche. Levigate come conchiglie spiaggiate dopo secoli di mare profondo.
 
 
 
Qui, di seguito, alcune delle cose che ho scritto su Zoomsud in questi primi giorni di febbraio:


- Come relegare agli storici  il “caso Sud”( e anche  quello “Nord”)? http://www.zoomsud.it/commenti/47286-come-relegare-agli-storici-il-qcaso-sudq-e-anche-quello-nord.html



 
 
Cui mi piace aggiungere un altro pezzo di Zoomsud:


 

 

 

 

 

 

giovedì 7 febbraio 2013

I volti de "La grammatica di Nisida"






 
 
 
 
 
 

 
 
 



Dall'alto: Daniela de Crescenzo, Luigi Romolo Carrino, Maurizio de Giovanni, Anna Petrazzuolo, Patrizia Rinaldi, Alessandro Gallo, Viola Ardone, Antonio Menna, Tjuna Notarbartolo.
 
Insieme ai ragazzi e alle ragazze dell'Istituto penale minorile napoletano, sono i nove autori che hanno provato a narrare La grammatica di Nisida.
 
Il libro - dedicato a Roberto Dinacci, la cui presenza,  a cinque anni dalla morte, resta fortissima - verrà pubblicato tra qualche settimana da Caracò e sarà acquistabile in formato ebook.
 
Il ricavato sarà devoluto ad altra attività culturale dell'IPM.
 
 
La prefazione è di Luisa Mattia (foto in basso).
 

 

domenica 3 febbraio 2013

Le parole di Nisida


 
 
Provate ad immaginare un’aula piuttosto grande, la pittura alle pareti non precisamente perfetta, una lavagna multimediale, un poster che raffigura il ragazzo di cui porta il nome, due armadietti di libri di leggi più vecchie che antiche e la bandiera d’Italia. Un tavolo quasi ovale, piuttosto grande e tre tavolini tondi più piccoli e un numero variabile di sedie, una diversa dall’altra. Tra finestre: una da cui si vede San Martino, una curvata sui cortili interni e l’altra che ci regala il Vesuvio e il mare: orienti mattutini di luce e di bellezza.

Metteteci dentro un numero variabile di ragazzi e ragazze, tra dieci e venti, l’insegnante che conduce il progetto, uno o più suoi colleghi e uno scrittore.

Ora, lasciate sullo sfondo tutto il resto – ambiente e persone – e concentratevi sull’Autore.

Ce ne sono stati 9 quest’anno – come altre volte, il loro contributo è stato del tutto volontario e gratuito – 5 donne e 4 uomini e di questi, 2 donne e 2 uomini, completamente nuovi a quest’esperienza, mentre altri/e al secondo, terzo o addirittura quarto anno della nostra Scuola di Scrittura.

Non è facile arrivare a Nisida, inserirsi nella trama di un lavoro che, in classe, va avanti, per molte strade, con accelerazioni e frenate, insofferenze e attenzioni, indifferenza e curiosità. Tema dell’anno: grammatica e narrazione, ovvero regole e immaginazione: mattoncini di pensiero per costruire case, città, mondi della mente.

Ogni scrittore ci ha provato. Ciascuno a suo modo. Tutti con competenza e passione.

Debolezza e forza, inutilità ed importanza, grandezza e limiti, luce e opacità, vuoto e pienezza delle parole nel crescere e nel cambiare. Di questo, in fondo, parlerà il libro prossimo venturo che raccoglie questa esperienza.