venerdì 27 novembre 2015

Grazie, Luca








Fuori - Racconti per ragazzi che escono da Nisida non ha un’introduzione. Una sola persona mi sembrava giusta per un testo dedicato al dopo-carcere e la cui preparazione si era intersecata con il ricordo di Eduardo nel trentennale della morte. Ricordo culminato il 30 ottobre 2014 in una memorabile giornata in cui, prima a Roma, nell’aula del Senato, e poi al Ceus, i ragazzi di Nisida avevano recitato, in suo onore, brani de La grammatica collegandoli all’impegno civile che il grande autore-attore-regista-senatore a vita aveva profuso anche per noi.

Luca mi aveva dato la sua disponibilità di massima, ma poi, in tournée in giro per l’Italia, mi aveva detto che, per Nisida, avrebbe voluto poter dedicare un tempo e un’attenzione che, al momento, non poteva avere: “Ci sarà un’altra occasione, no?”.

Non era una frase di circostanza, di quelle che indicano che la questione è chiusa ed io risposi che sì, ci sarebbe stato un altro lavoro in cui il suo nome sarebbe stato il più giusto da legare a Nisida.

Mi pesa molto, stasera, che quella possibilità non ci possa essere più.

Luca era entrato nella mia vita insieme ad Eduardo quando, nei primi anni sessanta, la Rai trasmise un bel po’ di commedie indimenticabili, a cominciare da quel Natale a casa Cupiello che, poi, anno dopo anno, avrei fatto vedere, a Nisida, a centinaia di ragazzi.

Poi l’ho visto tante volte a teatro e tante volte l’ho incontrato a Nisida, dove ha recitato, incontrato i ragazzi, partecipato al Laboratorio di Politica.

Non deve essere stato facile portare quel cognome. 
Luca l’ha fatto con dignità e dedizione: è stato Luca ed è stato, in questi trenta anni, la continuazione della presenza anche fisica di Eduardo.

Grazie.



(Rivedo stasera Natale in casa Cupiello e mai come ora mi sembra attuale il ti piace ‘o presepe? Ma, questo, è un altro discorso)

giovedì 26 novembre 2015

Affrontare l'apocalisse








L’ultima settimana dell’anno liturgico – quella in corso – è percorsa da un’attesa apocalittica, che accompagna vivide immagini di violenza, dolore e morte con un invito apparentemente contraddittorio: perché la fine – annunciata – della storia umana («prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine») si ribalta in un nuovo inizio di umanità liberata in Dio.

Dice il Vangelo di oggi, annunciando segni nel cielo e paura e angoscia sulla terra: «Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».
 
Non so quanti riescono a vedere primizie di liberazione nell’attuale accumularsi di segni inquietanti per l’umanità tutta, ma felice chi – consapevole del possibile buio prossimo venturo – non si fa sopraffare dall’attesa del disastro planetario e continua a costruire anche piccoli frammenti di umanità, di verità, di bellezza: di vita.

sabato 14 novembre 2015

Siamo in guerra. Ci tocca combattere







Ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra: per esempio, la guerra…

Siamo in molti, conoscendo o meno Rodari, ad essere cresciuti e/o ad essersi via via educati così con l’auspicio che la guerra, dopo la terribile seconda mondiale, potesse far parte del repertorio degli arnesi ormai inutili del passato. Almeno da noi, almeno in Occidente. (Perché, da altre parti del globo, in effetti non si è fermata mai).

Ora – da anni in verità – siamo in guerra. Una guerra portata da altre terre. Da altri popoli. In molti modi. Orrore, sangue, morte sono arrivati da tempo nel cuore dell’Europa.
Oggi è la volta di Parigi. Domani, chissà: Roma? Londra?

Io penso che non si può non guardare in faccia questa realtà – siamo in guerra – e non decidere di conseguenza: se si è in guerra, c’è poco da scegliere, si combatte.

Sapendo, naturalmente, che la pace è bene supremo. Per cui preghiamo (se credenti) e per cui lavoriamo (tutti, credenti o meno). Ma reagendo con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione e su tutti i piani.

Sul piano militare. Perché non è possibile pensare che con l’Isis ce la possiamo giocare a carte o sulla base del dialogo. Perché non è possibile, anche dopo la carneficina di Parigi, continuare a non avere un esercito comune europeo. Perché l'Europa, Russia compresa, deve raccordarsi con gli Stati Uniti e la Cina e tutte le forze che cercano non morte e distruzione ma pace e prosperità per i loro paesi in Asia in Africa, in Medio Oriente.

Sul piano delle scelte sociali: perché l’Europa non può chiudersi di fronte alle centinaia di migliaia di arrivi dall’Asia e dall’Africa: ma non può farlo senza tenere gli occhi ben aperti.

Sul piano culturale. I valori dell’Europa occidentale sono quelli della rivoluzione francese, che, a sua volta, non sono altro che la riproposizione politica del messaggio cristiano. I suoi principi sono la sua forza, se e quando deroga dai suoi principi l’Europa non è.

Qui aprirei una parentesi che parentesi non è. Se la fede è faccenda personale – faccenda personale con risvolti sociali, perché le persone non sono un minestrone in cui, secondo gusto si mette e/o toglie la carota o la patata: sono sempre un’unità che in ogni dimensione esprimono quello che sono – la storia è faccenda di tutti: sempre. Una buona parte della nostra letteratura, della nostra pittura, della nostra musica è “cristiana”: conoscere e amare Dante, Giotto, Michelangelo, Mozart, Notre Dame de Paris fa parte della nostra eredità più bella. È di qualche giorno fa la notizia che una qualche scuola elementare ha bloccato la gita a Firenze dei bambini di terza per evitare che i non cattolici rimanessero turbati da una mostra che ospita la Crocifissione bianca di Chagall e altre opere consimili. Questa è mera follia. Come follia sarà (perché non mancherà, che dubbio c’è?) il no di altre scuole, per lo stesso dichiarato motivo, al presepe. 

L’Europa, la guerra la vincerà se avrà memoria di sé e della sua storia. Se rispetterà i suoi valori. Se avrà il coraggio di ritrovare il coraggio: e di accettare che i principi vanno misurati con la realtà di fatto e che, quando si è in guerra, tocca combattere.