A venticinque anni, dattilografa ricercata da notai, avvocati e professionisti per la sua rapidità e precisione, con una sola amica, l’esuberante Giuditta, e un amico, l’edicolante Glauco, Liberata Macrì vive come sospesa nell’immaginario che le viene fornito dai fotoromanzi che legge e rilegge avidamente, conserva con cura, spolvera con delicatezza. Crede in tutto ciò che è invisibile, ma non in Dio. Le vicende amorose in cui, comunque, alla fine, ogni casella trova una ricomposizione positiva, soprattutto quelle di cui è protagonista Franco Gasparri, per lei essenza di ogni bellezza e bravura, sono il suo modo per attraversare la vita senza scosse. Si protegge così dalla ferita originaria di una madre che, avendo sofferto troppo in gravidanza, è ben poco materna: una mancanza cui non riesce a sopperire neppure l’affettuosità del padre.
Una vita fatta di tranquille ripetizioni (anche i pranzi, a casa loro, seguono una rigida scansione settimanale) viene messa in movimento dal contemporaneo arrivo in paese di un entomologo (la passione per gli insetti è condivisa dal padre di Liberata) e di un giovane meccanico che nell’officina del padre va a lavorare.
La vicenda amorosa tra il ragazzo, Luvio, e Liberata avrà, per lei, e non solo per lei, risvolti inattesi che daranno pieno senso al suo nome (la modificazione del nome Liberata è il refrain che chiude molti capitoli) e un diverso equilibrio a tutto il piccolo mondo, familiare e amicale, della ragazza. Mentre le nuove norme sul divorzio, con il relativo, annunciato referendum che avrebbe tentato di annullare la legge, e le tensioni fascisti-comunisti fanno serpeggiare, anche negli angoli più remoti del paese, una stagione di tensioni e cambiamenti.
Dopo il grande successo di Malinverno, Domenico Dara torna in libreria con Liberata, edito da Feltrinelli, un libro che da una parte conferma la sua passione per storie marginali, con una forte componente fantasticheggiante, e, dall’altra, la innova con un racconto lieve che potrebbe anche definirsi un romanzo di fotoromanzi, nel senso che tutta la vicenda potrebbe (o avrebbe potuto) tradursi anch’essa in uno dei fotoromanzi amati da Liberata.
Diceva qualcuno che gli uomini sono quello che mangiano. Nessuno può negare che sono anche quello che leggono: e Liberata diventa davvero se stessa attraversando, nella realtà, una storia che avrebbe potuto leggere in una delle sue amate riviste.
(Parentesi personale: quand’ero giovane, molte ragazze e signore leggevano Fotoromanzi; io ero stata educata a considerali un genere non solo inferiore ma anche in qualche modo poco morale, comunque disdicevole per una ragazza per bene. Ne ho letti parecchi da più che adulta, perché mi ero convinta che fare un fotoromanzo a Nisida sarebbe stato un buon modo di imparare a leggere e a scrivere e non solo: ne realizzammo due e sono stati tra le esperienze più belle della mia vita, quelle che hanno fatto davvero fatto ridere di cuore ragazzi e ragazze e, insieme, hanno dato loro tanto anche in termini di educazione alla bellezza, di educazione sentimentale).
Notevole la sensibilità di Dara nel restituire pensieri ed emozioni di una ragazza calabrese di inizi anni Settanta, ancora non toccata dal 68, che vive la sua gioventù dentro un fotoromanzo. Ci ha dato così un romanzo di formazione aereo, lieve e luminoso. Un romanzo-fotoromanzo non solo nella protagonista, ma in tutti i suoi personaggi. Liberata diventa adulta quando accetta il confronto, pur doloroso, con la realtà, ma tutto il tempo che aveva passato con i suoi fotoromanzi per difendersi dal mondo ne avevano pur affinato la sensibilità atta ad affrontarlo.