mercoledì 27 aprile 2016

Carlo Poerio, l'eroismo semplice del nonostante






A Montesarchio c’è un piccolo Museo Archeologico, che lascia stupefatti soprattutto per la bellezza dei numerosi crateri, i vasi da simposio che corredavano le tombe sannite.

Io ci sono andata il 25 aprile, per omaggiare Carlo Poerio, che ha conosciuto questa come altre torri borboniche – è stato anche a Nisida, dove idealmente lo saluto ogni mattina, passando davanti al piazzale che porta il suo nome.



Non una personalità di grandezza assoluta, di altezza vertiginosa, un rivoluzionario precursore dei tempi, ma, semplicemente, una persona per bene, capace, quantunque il costo sia stato pesante, di incarnare i suoi principi, dando prova di grande dignità.



D’altra parte, al processo, Poerio aveva detto: “Io mi onoro di appartenere alla setta degli uomini onesti. I miei sentimenti altamente monarchico-costituzionali sono noti a tutti […] Che se poi questi nobili sentimenti sono la vera cagione dei miei infortuni, non per questo rinnegherò i miei principii, e sopporterò le mie presenti sventure con tranquilla rassegnazione e con intera fede nell’avvenire”.




Mi sembra un grande insegnamento per chiunque voglia essere cittadino consapevole e responsabile dello spazio-tempo in cui gli è dato vivere la capacità di sopportare il presente con le sue sventure e di mantenere intera fede nell’avvenire: la forza, il coraggio, l’esercizio costante del nonostante.


Nelle immagini, la torre-prigione di Montesarchio e la cella di Carlo Poerio

lunedì 25 aprile 2016

25 Aprile. La Liberazione non è finita






Come tutte le persone di buonsenso, ho sempre pensato che “camorristi non si nasce, si diventa”.

Negli ultimissimi anni, soprattutto negli ultimi due-tre, a contatto con i miei allievi, sto arrivando alla conclusione opposta: “camorristi si nasce”. E non certo per ragioni genetiche. E' che, in certe periferie, respiri un modo di pensare, di fare, ben prima di nascere, lo succhi nel liquido amniotico prima ancora che nel latte, cresci a pane e illegalità, a pizza e spaccio, a babà e ammazzatine, sempre all’interno di un senso di morte che spinge a cercare, in un modo o nell’altro, ancora morte. Sei immerso da sempre, ben prima del formarsi di una qualsiasi consapevolezza, in una bolla nera, da cui uscire implica un difficilissimo processo di liberazione.

Soltanto Saviano, qualche altro intellettuale, alcuni preti e alcuni operatori sociali hanno – ed esprimono – il senso reale della catastrofe educativa che intere zone di Napoli (e non solo) attraversano: una tragedia da urlo che dovrebbe spingere, possibilmente, alla conversione sociale.

Di fronte a tutto questo, la scuola che può fare?

Oggi, sulla Stampa, c’è un’intervista di Cesare Moreno che, in larga parte, condivido.
“Noi – dice Moreno – non dobbiamo insegnare quanto la vita criminale sia dolorosa e schifosa, non dobbiamo smascherare le retoriche del lusso e del potere che cercano malamente di mascherare la realtà del crimine. Dobbiamo offrire ai giovani una protezione reale e psichica che oggi non esiste neppure nei migliori propositi. Noi maestri di strada possiamo solo testimoniare che una vita buona nonostante tutto è possibile, far vedere che pur vivendo insieme a loro nello stesso schifo tuttavia non ce ne facciamo contaminare, far sentire sì tutta la solidarietà di chi sta vivendo con loro una vita molto difficile

mercoledì 20 aprile 2016

Il ragazzo e la bambina







“È piccola piccola, ha tanti capelli e tiene già gli occhi aperti. Dicono che somigli a me, io non lo so. Ma è bella, bella. Non avevo il coraggio di prenderla in braccio, ci ho messo mezzora prima di prenderla, ma mi sono seduto sul divano, così se cadeva non cadeva a terra. E quando la tenevo in braccio è stata un’emozione grande e già mi manca”.

È nata una settimana fa e il padre, che, grazie ad un permesso, l’ha vista qualche giorno dopo, ne parla con sguardo e toni colmi di stupore: “Mi emoziona pensare che è fatta da me e resterà per sempre con me”.

Una nascita che abbiamo aspettato, in classe, dal primo giorno dell’anno scolastico, seguendo tutte le fasi della gravidanza, le visite dal medico, le analisi della futura madre, le paure, i problemi e l’ansia via via crescente, del futuro padre, un ragazzo giovanissimo che già a settembre ripeteva: “Non vedo l’ora che nasce”.

Alla piccola è stato dato, in quanto nome della nonna paterna, un nome antico e raro, dal significato prezioso. Sarebbe bello se potesse avere una vita all’altezza del suo nome.