sabato 30 agosto 2014

Il successo veneziano di "Anime Nere" e l'immagine della Calabria




Sono molto contenta per il successo di critica ottenuto da Anime nere al Festival del Cinema di Venezia. Il film lo vedrò appena uscirà nelle sale italiane. Il libro l’ho letto quando venne pubblicato e poi riletto qualche tempo fa. Ho il piacere d’aver incontrato, qualche volta, l’autore della storia, Gioacchino Criaco, che mi fa fatto conoscere ed amare l’eccezionale bellezza di Africo.

Osservo le reazioni su fb, di persone che, come me, non hanno ancora visto il film e che mettono le mani avanti: sì, ci fa piacere il successo di un autore calabrese, ma è mai possibile che la Calabria debba andare in scena solo con storie di ‘ndrangheta et similia, che ne è della nostra immagine?

In realtà, l’immagine della Calabria è deturpata da chi ne ha distrutto la costa, spopolato le montagne, inaridito l’agricoltura, non sviluppato il turismo, impedito lo sviluppo di un’industria compatibile col territorio, dimenticato le bellezze paesaggistiche ed archeologiche, frantumata la cultura, disperse e svuotata l’anima della regione.

Ma chi racconta, con sincera passione, una parte dei suoi mali – oltre l’ovvia considerazione che un libro, un film vanno valutati soprattutto per se stessi – le dà ancora, nonostante tutto, una possibilità di futuro.

Su Zoomsud:




lunedì 25 agosto 2014

Narratori della Calabria nuda





Mi è capitato, all’inizio dell’estate, di esprimere su questo blog e su Zoomsud alcune osservazioni critiche su alcune, ormai molto consuete, modalità di presentazioni di libri.

Forse perché, come si dice in dialetto reggino, ‘u gabbu arriva e ‘a minditta no (le maledizioni non arrivano mai a destinazione, mentre il farsi gabbu degli altri ricade su chi la prova questa sorta di meraviglia a naso arricciato), mi è poi capitato di presentare (insieme ad altri) due libri di autori calabresi.

Sono state entrambe, per me, esperienze gradevoli e per le quali ringrazio chi ha avuto la cortesia di invitarmi.

Esperienze che non hanno modificato le mie perplessità sul rapporto attuali modalità di presentazioni libri/crescita della lettura. Ma che hanno arricchito le mie riflessioni sull’importanza per la Calabria di narratori che, sbrogliando gli aggomitolati intrighi delle abitudini, delle ambiguità, dei cliché, la rivelino a se stessa per quello che attualmente è: nuda.



Le foto si riferiscono alla presentazione, a Lazzaro, di Storie Rriggitane  di Pasqualino Placanica, edito da Disoblio

martedì 19 agosto 2014

Puzza di bruciato intorno ai Bronzi







Premessa. Farei volentieri a meno di occuparmi dello spostamento sì o no dei Bronzi. Ma, nelle attuali discussioni sulla loro (eventuale) gita a Milano, c’è una scia di bruciato, acre e fastidiosa, su cui non è il caso di far finta di niente.

Dunque: A chi appartiene un’opera d’arte? A tutti coloro che la sanno apprezzare.

Ovvero, i Bronzi – come il Giudizio universale della Cappella Sistina, la Nike di Samotracia e l’urlo di Munck – sono patrimonio (potenzialmente) di tutta l’umanità. E il caso, il destino, la provvidenza o chi volete voi li hanno affidati ad un angolo di Calabria affinché se ne prendesse cura in maniera che tutti ne possano godere.

Si possono spostare i Bronzi? Chi può dirlo, se non degli specialisti in materia? A giudicare da quello che decine di esperti hanno sostenuto in questi anni, parrebbe decisamente di no: l’apparenza florida nasconde microfratture che lo sconsigliano caldamente.

Mettiamo che abbiano detto fesserie e che, invece, i Bronzi siano spostabili.

A chi gioverebbe il loro spostamento?

Ai visitatori dell’Expo? Forse.

Alla Calabria e all’Italia, sic stantibus rebus, direi di no.
Alla Calabria perché sembrerebbe certificare che la regione è troppo lontana (e non solo metaforicamente) da essere, oltre che irraggiungibile, anche irrecuperabile (alla civiltà, alla modernità)
All’Italia, che dovrebbe conservare e valorizzare, con cura e attenzione costante e intelligente, l’enorme ricchezza culturale e artistica che il passato le ha lasciato e che, evidentemente, non lo fa: visto che ha bisogno di trasferire da una parte all’altra del paese opere che, se ne creassero le condizioni, sarebbero raggiungibili (da Milano) in un’oretta e mezzo d’aereo (vedendo anche il resto, eccezionale, del Museo, ove mai fosse tutto aperto).





Alla prima (nuova) uscita del signor S., il signor X., (se-dicente) critico d’arte di valore interplanetario alzò le sopracciglia. Alla terza, sbuffò. Alla quinta, esplose: “Basta. Non se ne può più” e convocò i giornalisti amici. Rosso in volto e sudato per la rabbia, gridò: “E’ una vergogna. Perché solo i Bronzi devono andare all’Expo? E la Primavera di Botticelli, il Davide di Michelangelo, la Maddalena del Caravaggio devono restare a casa? E gli affreschi di Giotto?” Il (giovane e inesperto) cronista che osò osservare: “Vabbé per i quadri, ma gli affreschi?” ebbe la risposta che meritava: “Idiota, ignorante… che ci vuole a staccare quel che basta delle pareti della Basilica di Assisi e portarle a Milano?”.

Per non far torto a nessuno, dal ministero immantinente partì la convocazione per tante commissioni (una per opera) di (se-dicenti) esperti mondiali. Tutti, memori del verso dantesco (il ….bel paese là dove ’l sì suona) si affrettarono ad avallare.

Così – mentre alcuni esaltavano la nuova spinta propulsiva dell’ingegno italico e ad altri le vene e i polsi s’ammalavano di ulcere e infarti – mezzo paese cominciò ad essere occupato nell’impacchettamento della Venere del Tiziano, del Cristo Velato di Sanmartino, del Federico da Montefeltro di Piero della Francesca. Tir, aerei, treni pieni di quadri, statue, scatole con polvere di affreschi cominciarono a risalire la penisola, con (ovvio) accompagnamento di (eccezionali) misure di sicurezza. Il resto del paese (quello non occupato in tali trasporti) fu costretto all’immobilità, per assoluta impossibilità di percorrere una strada o di prendere un treno o un aereo.

Ma non era finita. Perché il signor Y., anch’egli (se-dicente) critico d’arte di valore stellare convocò una conferenza stampa e urlò che in l’Italia  bisognava smetterla con le disparità: i monumenti non potevano essere considerati inferiori alle statue e ai quadri. Ergo: Pompei e il Colosseo, come anche le chiese di Noto e i sassi di Matera, dovevano essere smontati e trasferiti, per immediata ricostruzione, a Milano.

Qualche funzionario osò rilevare che era davvero troppo. Ma il ministro fu irremovibile. E, subito, venne insediata l’apposita commissione…

venerdì 15 agosto 2014

La festa del 15 Agosto



 
L'Assunta di Tiziano

Celebrazione della vigilia dell’Assunta. Chiesa del reggino, non importa quale, non sarà diversa da molte altre.

Fedeli: pochi, meno del solito. (Fa molto caldo, si sta a mare e molte donne sono immerse nelle fatiche dell’organizzazione per l’indomani, vero tour de force di cucina).
Riferimento ai cristiani perseguitati (preghiera che oggi, in Italia, secondo le indicazioni della Cei, avrebbe dovuto accumunare tutti i partecipanti alla messa): zero.

Il mancato riferimento ai cristiani perseguitati, così come la genericità della preghiera dei fedeli (ben lontana dalle problematiche della comunità locale) è un sintomo della distanza tra i proclami ufficiali e l’effettivo percorso delle comunità locali.

Ho già fatto su Zoomsud*, qualche considerazione su “chiesa e processioni”

Vorrei continuare a esprimere qualche opinione dall’interno della cattolicità.

So di farlo su terreni scivolosi, che abbisognerebbero di riflessioni più ampie, sfumate e complesse.

Esprimo, quindi, più che convinzioni certe, domande inquiete, di carattere strettamente personale:

  1. La prima, che non riguarda specificamente la festività odierna, è questa: l’introduzione della (comoda) messa vespertina del sabato come celebrazione valida per ottemperare il precetto, può essere considerata una delle concause che, nel tempo, hanno svuotato il senso della domenica come giorno “altro”; dedicato a Dio?

  1. La seconda corrisponde ad un mio fastidio nei confronti e del Capodanno e del Ferragosto, due feste che non ho mai amato (mai capito perché si debba essere particolarmente contenti il 1 gennaio né perché bisognerebbe banchettare il 15 agosto immergendosi nella folla della spiaggia o della montagna) tanto da metterci un bel po’ di anni a imparare a sopportarle. Fastidio cui corrispondono questi interrogativi: Perché caricare su due feste civili di carattere vacanziero (Capodanno e Ferragosto) due feste religiose di precetto? Come memento, al centro del divertimento più terrestre, della salvezza eterna? Come tentativo di cristianizzare il tempo (cosa evidente anche in altri “accoppiamenti”, per esempio nella festività di san Giuseppe artigiano il 1 Maggio)? Perché non lasciarli, Capodanno e Ferragosto, alla loro natura di feste pagane o, comunque, a-religiose, riportando l’obbligo della messa rispettivamente alla prima domenica disponibile di gennaio e di agosto?


Ha scritto un mio amico (vero) su fb: «15 agosto festa religiosa dell'Assunzione di Maria, trasformata impropriamente in festa di ferragosto. Allora buon ferragosto a tutti, l'importante è viverlo coerentemente al proprio credo».

In realtà non è così. Il ferragosto nasce nell’8 secolo a. C (le feriae di Augusto) e si trasmette nel tempo in tradizioni culinarie e di scampagnata, e si consolida in ferie lavorative, molti secoli dopo, quando il fascismo cominciò ad organizzare, a metà agosto, per i lavoratori meno abbienti centinaia di gite a prezzo scontato. 

La proclamazione del dogma dell’Assunta (l’ultimo nel tempo della Chiesa cattolica) è del 1950. Sebbene il culto della Vergine sia radicato, diffuso e sentito, arrivano (oralmente, per sms, su fb) decine di “buon Ferragosto”: che equivalgono al “buon Capodanno”. Dove quasi nessuno intende riferirsi alla Madre di Dio, o all’Assunta, ma, proprio, appunto, ad una tradizione di “pausa possibilmente festosa e mangereccia, da trascorrere con amici e parenti”. Uno scacciapensieri estivo che fa pendant con quello invernale, insomma.

E’ chiaro che – riportate alcune feste religiose un tempo infrasettimanali alla domenica (per esempio, Ascensione e Corpus Domini) – va bene a tutti lasciare al loro posto, come civilmente riconosciute, queste due feste religiose: tanto già civilmente sono festa, e per lunga tradizione, sia Capodanno che Ferragosto.


Conclusione (piccola, strettamente personale, e in progress). Delle tre feste mariane (1 gennaio, 15 agosto, 8 dicembre), mi sentirei più a mio agio che, lasciando a giorni di mera vacanza Capodanno e Ferragosto, restasse extra domenica solo l’Immacolata Concezione. In lei, nata senza peccato, in quanto destinata a essere la madre di Dio, si realizza anche il passaggio dalla vita terrena a quella eterna. Senza passare dalla morte.

 
Giotto, Dormitio Virginis


Intervistato da Paola Bottero per la prima serata di “Scilla in passerella”, il giudice Gratteri ha detto che abolire le processioni è “darla vinta agli ‘ndranghetisti”, meglio sarebbe un registro dei portatori delle statue.
Opinione certo autorevole – il noto magistrato è anche consulente della commissione parlamentare antimafia – che mi lascia, però, dubbiosa.

Che una processione si faccia o meno niente dà e niente toglie alla ‘ndrangheta che, essendo, soprattutto, un sistema economico illegale, gradisce certo il riconoscimento sociale della comunità (eventualmente espresso anche con l’inchino del santo di turno) ma risente davvero solo dell’attacco ai “suoi” soldi, dell’affermazione, di contro alla sua, di un’economia “fiorente e legale”.
Ma che una processione si faccia o meno è molto, molto, importante per la Chiesa (in specie per quella meridionale e, ancora di più, per quella calabrese).

Uno. Dal referendum sul divorzio (1974) in poi, è sempre più evidente che anche l’Italia (come l’Europa) è entrata in una fase di “post-cristianesimo”. Ovvero che, mancando sempre di più l’identificazione tra il senso comune e i principi morali della religione, l’adesione alla chiesa è: o) la permanenza residuale di abitudini tradizionali o) una scelta voluta e consapevole (che deve fare i conti col fatto che sempre di meno essere cattolici è di moda, anzi).

Due. La prima fa si che certi riti (per esempio, la processione del patrono) e certi sacramenti (battesimo, prima comunione, matrimonio) vengano vissuti da un numero di persone più ampio di quello che partecipa alla messa (snodo centrale dell’identità cattolica). E che, un buon numero di chi viene battezzato non viene educato da cattolico e un buon numero dei ragazzi della prima comunione non mettano più piede in chiesa fino al momento di sposarsi ecc. ecc. La seconda abbisognerebbe di una vita parrocchiale più ricca di quella esistente, soprattutto su alcuni aspetti per così dire “culturali”: corsi di “catechesi per adulti”, “lectio divina” (la lettura commentata e meditata della Bibbia), dibattiti su ogni aspetto della società contemporanea. Ovvero, una riflessione costante su “cosa vuol dire essere cattolici” e un tentativo di mettere in relazione il Vangelo con le questioni dell’oggi.

Tre. E’ chiaro che la grande forza storica e attuale della Chiesa cattolica è il suo essere non “setta” (dei migliori, dei perfetti), ma casa, potenzialmente, di tutti: e, quindi, di chiunque (qualunque siano i suoi limiti) voglia considerare centrale per la sua esistenza, presente e futura, Gesù Cristo. 

Quattro. La crescita dei “cattolici per scelta” e non per (stanca e, spesso, paganeggiante) tradizione sarebbe, però, soprattutto nel Sud dell’Italia, un potente lievito di crescita umana e rafforzerebbe un tessuto sociale che appare, in troppi luoghi e troppe situazioni, ormai consunto e lacerato.

Cinque. Dato per scontato che la fede è fatto intimo e che la vecchietta ‘nta cantunera che dice un rosario appresso all’altro può essere “nel cuore di Dio” più del professore che dimostrasse l’assoluta verità scientifica dei miracoli di Lourdes, i riti identificativi (pubblici) dell’appartenenza religiosa hanno a che vedere con la sensibilità storica. 

Sei. Le processioni sono (in gran parte) legate alle feste. Le feste si esprimono con bancarelle, cantanti e fuochi d’artificio. Tutte cose cui il paese o la contrada può, per uso, per divertimento, per noia, partecipare. Ma a quanti si ritengono cattolici tutto ciò ha davvero qualcosa di religioso da dire? E, ancora di più: le processioni, oggi, fanno “catechesi”, ovvero “formano dei credenti” o no?