domenica 30 ottobre 2022

Autore che racconti i contadini di oggi cercasi

Immagine dal Web

Ho letto, in questi giorni, Le terre del Sacramento di Francesco Jovine, chiedendomi perché un autore di tale spessore sia ampiamente dimenticato. Jovine, insieme a Verga, Scotellaro, La Cava e ad alcuni altri, tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento, ha raccontato, con acume e intensità, il mondo contadino, la sua fatica, il suo sudore e il sangue versato in lotte concluse con drammatiche sconfitte.

Sulla narrazione del mondo contadino negli anni duemila mi viene in mente (sarà distrazione mia) solo La nuova stagione di Silvia Ballestra, edito nel 2019 da Bompiani. 

Eppure ci sarebbe tanto da raccontare. Frequento, quando posso, il mercatino della Coldiretti. Spesso, ai banchetti, ci sono famigliole, con più generazioni che vendono i loro prodotti, coppie sposate con al seguito figli giovani e qualche nonno ancora in piena attività. Persone con cui è interessante parlare. Contadini che non sono più, naturalmente, quelli narrati settanta o cento anni fa. Restituirli alla narrativa darebbe linfa e vigore alla nostra produzione libraria che, troppo spesso, sa di nulla (ripetuto).

martedì 25 ottobre 2022

Le parole di Giorgia Meloni

 


Sono curiosa di ascoltare, tra qualche ora, il discorso di Giorgia Meloni alla Camera, segnale importante della “transizione” che dovrà compiere tra la tuonante leader di partito di ieri e la condizione attuale che la vede capo del governo di una “nazione”.

A me che parli di “nazione” non disturba; d’altra parte, secondo la formula di rito, ha giurato di svolgere le sue funzioni “nell’interesse esclusivo della Nazione” e – anche se i nomi dei Ministeri li avrei lasciati come sono: cambiare costa un bel po’ di carta intestata che va al macero – non mi disturba neppure il “sovranismo alimentare” (volesse il cielo che arrivassero adeguati aiuti anche alla piccola agricoltura; magari, si riuscirebbe a coltivare anche tanti “giardini” calabresi semi abbandonati) e neppure il “merito”.  Se, a scuola, si riuscisse a “valutare” gli insegnanti non sarebbe per niente male e, per quanto riguarda, gli studenti “merito” non è il contrario di “inclusività”, di “barriere alzate” per perpetuare difficoltà di ogni genere che rendono più difficile l’apprendimento, ma la valorizzazione dell'impegno individuale,  per cui il ragazzo che, per condizioni socio-ambientali, parte da un “oggettivo” 2 e arriva a 5 è più meritevole di chi parte da 8 e lì si ferma.

Non mi formalizzo neppure su “il presidente”, però “la presidente” è decisamente meglio, proprio grammaticalmente meglio e nulla toglie al valore del ruolo: per il semplice fatto che “presidente” come “cantante”, “badante” e simili participi presenti, è un nome che resta invariato, ma cambia l’articolo: il cantante/la cantante; il badante/la badante; il presidente/la presidente.

Nomina sunt consequentia rerum. Le parole sono importanti, vengono modificate dalla realtà e sono in grado in modificare la realtà. Ma, in questi giorni, il dibattito sulle parole mi è sembrato, spesso, un chiacchiericcio inutile. Il fatto che cambierà tante cose nel paese è già avvenuto: non solo una “donna”, e, per di più, di “origini popolari”, ma una “madre” (e madre di figlia – femmina – piccola) a palazzo Chigi. C’è un varco da cui passeranno le parole, ma non solo loro: quanto più Giorgia Meloni riuscirà ad essere “discontinua” rispetto a se stessa e “continua” rispetto a Mario Draghi (ancora grazie, Presidente) tanto meglio sarà per il Paese. O, se preferisce, la Nazione.