venerdì 31 maggio 2013

"Io e l'Avvocato": autobiografia della Calabria migrata a Torino



Il prologo è fissato al 1936: una nobildonna bellissima e ricchissima in fuga, con sette figli, da Torino verso Roma; una colazione in una famiglia calabrese molto povera, otto figli intorno ad un tavolo, in una mattinata di freddo non solo atmosferico.

Poi, la storia ricomincia all’inizio degli anni 60 per concludersi nel 2003, seguendo, alternativamente, le vicende di due famiglie e, soprattutto, di due padri (il primogenito della nobildonna e il più piccolo degli otto fratelli) e di due loro figli.

La prima famiglia è quella dell’autore, il cui padre, Emilio, sarto di professione ma senza più clienti, lascia Polistena per cercare lavoro alla Fiat e si fa presto raggiungere a Torino dalla moglie e dai quattro figli: il più piccolo è Nico, l’io narrante. Una famiglia come tantissime altre che, all’inizio del boom economico, emigrano dal Sud e dalla Calabria in quella Torino che diventa per molti ciò che l’America era stata tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento: il sogno, faticoso ma concreto, di una vita migliore.

L’altra è La famiglia per eccellenza, l’unica che, nell’Italia repubblicana, sia sembrata avere l’aurea di monarchia regnante: gli Agnelli, con le vicende dell’Avvocato che, a quarantacinque anni, dopo un lungo eden dorato, assume la direzione della Fiat, creata dal nonno, il Senatore, e del suo figlio maschio, Edoardo.

I due padri non s’incontreranno mai, anche se l’autore immagina una stretta di mano fra di loro, negli anni ottanta, suggellata da queste parole di Emilio, per tanti anni orgoglioso di poter garantire col suo lavoro gli studi dei figli e, con gli straordinari, anche un paio di scarpe in più alla moglie: “Avvocato, mi ha fatto lasciare il mio paese, ho cambiato lavoro, mi sono fatto irreggimentare in un’officina sotto una linea di montaggio, mi sono lasciato cronometrare le mansioni, mi sono fatto sottrarre il tempo per stare con la mia famiglia, mi svegliavo di notte perché sognavo di non riuscire a fare la produzione, Ho creduto ai vostri cambiamenti, mi sono adeguato a una vita che avrei voluto evitare. Mi piaceva di più quella di prima, ho ancora nostalgia di quel tempo senza tempo, a parlare del nulla nella piazza del paese, mi piaceva ubriacarmi con gli amici e poi litigare con mia suocera. Non mi sono ribellato neanche quando ho scoperto la ‘calabrese? Veniva usato come un insulto. Mi avete promesso un posto che pensavo non dovesse avere mai fine, che avrebbe dato un futuro ai miei figli e ai miei nipoti e ai miei nipoti, che li avrebbe fatti studiare. Ho comprato le vostre macchine e ho portato tutta la famiglia in vacanza il 31 luglio a fine turno. Ho attraversato l’Italia in pantaloncini e canottiera per tornare al paese e dire a tutti che ce l’avevo fatta, che avevo un posto fisso e ora ero tranquillo, ero contento di ritornare ai sapori veri della terra, ma che al Nord si stava meglio, c’erano gli ospedali e la domenica andavo alla partita. Ho comprato il frigorifero e la televisione e la domenica ho portato moglie e figli in campagna perché era questo che vedevo fare alle famiglie felici della réclame. Mi sono comprato gli abiti confezionati e qualche volta mi scappa anche una parola in dialetto piemontese. E ora, caro Avvocato, mi sta dicendo che tutto questo non ha più senso, che dovete ristrutturare e io devo aspettare di entrare in esubero”.

I due figli s’incontreranno, invece, intorno alla figura di don Luigi Ciotti, che non riesce a salvare dal baratro della sua fragilità Edoardo ma dà una sponda al trovare se stesso di Nico.

Primo romanzo del regista Mimmo Calopresti, Io e l’Avvocato ha un ritmo filmico (con zoom ripetuti, sequenze alternate, il chiasmo dell’incontro tra Gianni Agnelli e l’autore) e condensa in sé molti aspetti. E’ il pagamento, da parte di Calopresti, di un debito al se stesso ragazzo che pensava che, un giorno, la vita di suo padre l’avrebbe raccontata. E’ il ripercorrere la sua vita, dalla primissima infanzia calabrese alle ribellioni e alle nevrosi della gioventù fino a trovare, nel cinema, lo sbocco delle proprie inquiete energie. E’ il documento, prezioso, di una fase della storia italiana, dello sviluppo squilibrato tra Nord e Sud e dello sradicamento anche emozionale che ha comportato (e ancora comporta?) per più di una generazione. Ed è l’indagine in una vicenda, quella degli Agnelli, in cui potere e drammi si intrecciano richiamando la tragedia classica e della relativa "ossessione" che l'autore ha nei confronti della figura carismatica dell'Avvocato.

Non tutti gli aspetti risultano trattati con uguale maturità di scrittura. Le pagine su Gianni ed Edoardo Agnelli sono decisamente meno convincenti di quelle che riguardano la fabbrica (la catena di montaggio; le ore di lavoro straordinario; la marcia dei quarantamila) e delle pagine della memoria e del rapporto con la Calabria (per esempio l’ultimo viaggio di Emilio, ormai malato, col figlio verso la casa natale).

Ma tutto il libro si legge con interesse e, in più parti, con un’emozione cui l’ultima domanda dà un sapore particolare, perché non riguarda solo Emilio. Ha avuto senso lasciare la Calabria per la Fiat? L’unica risposta, dice l’autore, è in quel vento evocato dalla canzone di Dylan: “The answe my friend is blowin’in the wind”.


Recensione pubblicata su Zoomsud http://www.zoomsud.it/commenti/53217-recensione-io-e-lavvocato-di-mimmo-calopresti.html


La foto - di Benedetta de Falco - è stata scattata durante la presentazione del libro alla Biblioteca Nazionale di Napoli il 28 maggio

domenica 26 maggio 2013

Don Pino Puglisi. E gli altri





Purtroppo nn ho avuto la fortuna di conoscere don pino xk anke se nel mio quartiere lo uccisero quando io avevo 1 anno.... Ma x fortuna il mio don pino puglisi lo trovato a napoli e si kiama don fabio de luca grazie fabio ♥


Conosco il prete di cui si parla e anche chi ne scrive.
E' una grande emozione leggere fb, stamattina.


Su don Pino, in questi giorni si è potuto leggere molto. Rimando a questo pezzo su Zoomsud:
http://www.zoomsud.it/commenti/52981-la-beatificazione-di-padre-puglisi-passa-anche-dalla-calabria.html

giovedì 23 maggio 2013

Laura Boldrini e La Grammatica di Nisida








Ci aspettano gli esami e, prima che finisca davvero, l’anno scolastico può riservarci ancora belle sorprese. Ma, mentre mi occupo di Relazioni finali, non posso non segnare con una pietruzza bianca il 13 maggio, quando la Presidente della Camera, Laura Boldrini ha visitato Nisida, (su questo Blog, vedere i post:  Benvenuta Presidente Boldrini e Nisida. laboratorio di Politica con Laura Boldrini ) presente anche Caterina Chinnici (che il 4 ottobre 2012 aveva accompagnato Paola Severino, allora Ministro della Giustizia)






















La Grammatica di Nisida 
www.caraco.it






mercoledì 22 maggio 2013

La guerra bianca e altre storie di Calabria



L’ho pensato per molto tempo, ma non è stato Umberto Saba con la poesia studiata alle medie – Trieste ha una scontrosa grazia – il primo a farmi innamorare della città di San Giusto.

E’ stato mio zio Saso che, quando avevo due, tre anni – è tra i primi ricordi davvero miei della mia vita – cantava Vola, colomba bianca, ripetendomi: “parla di Trieste, che è tornata all’Italia”. (Nilla Pizzi ha vinto Sanremo con Vola, colomba bianca nel 1952; Trieste è tornata all’Italia nel 1954, ndr)
E sulla parola Trieste la sua voce si faceva più lieve: come a contenere una commozione troppo intima per lasciarla svilire (ma, questo, l’avrei capito col tempo) in una di quelle discussioni politiche che s’accendevano facilmente tra dc e pci. E che a me lasciava il senso di un qualcosa di sacro che legava le due parole, Trieste e Italia.

Mi capita di leggere, a pochi giorni dalla ricorrenza del 24 maggio quando “il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti” un bellissimo saggio, La guerra bianca -Vita e morte sul fronte italiano 1915-1919 di Mark Thompson, edito da Il Saggiatore.

Per che cosa si combatteva? Alla domanda, un ufficiale irredentista risponde: “Ma per Trento e Trieste”. Lo stesso racconta: «“I soldati arrivavano per lo più dalla Calabria. “Non si capiva una parola di quel che dicevano. Brava gente analfabeta. Scrivevo le loro lettere a casa”».

Un mio nonno (contadino povero) è stato uno dei ragazzi del 99. Una granata, scoppiatagli vicino, gli diede abbastanza problemi da allontanarlo dalla prima linea, senza evitargli la guerra. Fu postino: non solo portava le lettere, ma le leggeva e le scriveva.

Aveva appreso giusto le lettere dell’alfabeto e qualche parola da una bambina (anch’essa diventata mia nonna) che aveva avuto la fortuna di frequentare fino alla seconda elementare e che gliele disegnava sulla terra, in campagna, mentre si occupavano di capre.

Nel terribile bianco della guerra, imparò davvero.


Questo articolo è apparso su Zoomsud con il titolo La guerra bianca dei calabresi che non sapevano leggere  http://www.zoomsud.it/commenti/52826-la-guerra-bianca-dei-calabresi-che-non-sapevano-leggere.html


Su Zoom è apparso anche Donna Consolata che non s'abituò mai a cucinare http://www.zoomsud.it/commenti/52729-donna-consolata-che-non-sabituo-mai-a-cucinare.html

“Cunsula, chi ‘mintisti supra?”. L'inutile domanda di don Ninu s’infrangeva, ogni mezzogiorno, su un muro di pietra: “Ma ‘comu? Cucinai ‘aieri”, che gli rimandava poi addosso un'eco di sofferta rassegnazione: “Ti fazzu ‘na pastina ‘a broru longu…”. Qualche pomodoro, un aglio, qualche foglia di sedano, un po’ d’acqua e la pasta per lui era pronta. Lei, tante volte, neppure si sedeva a tavola. Restava in cortile, su una sedia di paglia, una veste scura con sopra un grembiule, i capelli grigi e ondulati, la sua unica vanità da ragazza, trattenuti in una treccia fermata sulla nuca, in una mano un po’ di pane, nell’altra un pugno d’olive.

Le sere d’estate, ognuno dei due si preparava un’insalata di pomodori. Quella di lui, un trionfo di colori e sapori. Li sceglieva quasi maturi ma non acquosi, li tagliava a fette regolari e li mescolava con pezzettini d’aglio e cipolle tritate sottili, tanto basilico sminuzzato a mano, un niente di prezzemolo, cimette d’origano secco spezzate al momento; olio in quantità e pane duro bagnato come accompagnamento. Quella di lei, arrabattata alla meglio.

Il fatto è che, donna di lavoro e d’economia, donna Consolata, a cucinare non s’era abituata mai, neppure quando da mettere sulla tavola, ce ne sarebbe stato ormai più che a sufficienza. Sul cibo, il suo orologio interiore s’era fermato all'infanzia di stenti e agli anni della fame, quando, col marito clandestino in America e il figlio da crescere, solo la rude bontà di donna Cilla le aveva fatto, talvolta, trovare sul tavolo, al ritorno dalla campagna (giornate di lavoro per una miseria), un piatto ancora tiepido.

Di fame – di fame, non di appetito – parlavano, quando ero piccola, non solo i vecchi, ma anche gli adulti, quelli nati dieci, venti anni prima della seconda guerra mondiale. Privazioni che avevano lasciato, in molti, l’abitudine a limitare le esigenze, anche nel cibo: “ ‘u menziornu è ‘mportanti, ca ‘sira ‘ndi ranciamu ‘cu ‘na pumaroru”. (il mezzogiorno è importante, che la sera ci arrangiamo con un pomodoro).

La misura, il limite, mi sembrano valori da (ri)conquistare. Ma non è tollerabile, oggi, sentire di nuovo parlare di povertà e di fame: vere.

Rimando anche Scrittori calabresi in fila a Torino. Ma chi li legge?  http://www.zoomsud.it/commenti/52621-scrittori-calabresi-in-fila-a-torino-ma-chi-li-legge.html

martedì 21 maggio 2013

La guerra bianca, twitter e il ministro dell'Istruzione Maria Chiara Carrozza



Sto leggendo un libro bellissimo, di quelli che vorresti poter leggere d'un fiato, senza fermarti. 
Si chiama "La guerra bianca" ed è un saggio storico/letterario sulla prima guerra mondiale di Mark Thompson.

L'ho comprato (in edizione ebook, su Amazon) perché, qualche giorno fa, ho letto un twitt del ministro dell'Istruzione, Carrozza, che diceva di averlo appena comprato lei.

Il penultimo saggio che ho letto l'aveva suggerito Pierluigi Battista. L'ultimo romanzo, invece, l'aveva consigliato Gianni Riotta.

Fino a poco tempo fa non avrei neppure immaginato che twitter sarebbe diventato uno dei consiglieri di libri cui do più ascolto.

domenica 19 maggio 2013

Yves Bonnefoy: quando ho toccato la Poesia






Capelli bianchi e occhi vivaci colmi di sapienza rivolti più al futuro che al passato; signorile e discreto, vigile e curioso di tutto, un giorno di nuvole e vento dell’ ottobre 2011, Yves Bonnefoy, a Napoli per ricevere l’omonimo premio letterario, è venuto a Nisida.

A scuola, avevamo preparato l’incontro con un lungo e appassionato lavoro sul senso e il valore della poesia; con la lettura di numerose sue poesie ed elaborando per lui le domande da cui partire per un dibattito – “Quando ha cominciato a scrivere? Perché lo fa? E’ contento di essere diventato famoso? Perché ha tradotto Leopardi in francese?”

Lui ha parlato ai ragazzi in cerchio con lo stesso tono con cui, il giorno seguente, ha parlato all’Università: concetti profondi, espressi con grande chiarezza, parole che conoscono trasparenza, peso e valore. Ha preso sul serio le domande dei ragazzi e dato risposte prive di ammiccamenti e compiacimenti, ma piene di attenzione e rispetto, di lucidità e logica e, soprattutto, della lunga consuetudine a cercare i termini che meglio definiscano concetti ed emozioni, esperienze ed idee.
Ed ha, con grande attenzione, ascoltato le loro di poesie: una piccola carrellata del meglio scritto negli ultimi venti anni nel nostro Laboratorio di scrittura.

Ha detto che la poesia è “apprendistato della vita”; che lui ha iniziato a scrivere molto presto, non appena ha iniziato a leggere, perché le parole consentono di superare i limiti in cui siamo ristretti: “Ho cominciato a scrivere perché mi sentivo chiuso in rappresentazioni troppo strette mentre le parole mi danno la possibilità di andare oltre”.

Che la poesia non nasce da un’idea, ma sono le parole che si fanno strada fino a trovare espressione; che la poesia è la critica delle passioni false e la salvaguardia del sentimento altro: “Esistono due grandi passioni: la libertà e la chiave per poterla descrivere, ossia lo studio”. Ha spiegato come Leopardi abbia colto la difficoltà del rapporto tra uomini e la natura, traendo da lì l’idea del riconoscersi tra uomini – “Il suo pensiero sulla poesia somiglia molto al mio: la natura resta estranea ai nostri progetti e solo attraverso le parole può essere compreso il vero senso della vita, gli uomini hanno bisogno di riconoscersi negli altri” – e raccontato che Napoli è città “una città straordinaria, perché fa emergere dappertutto l’inconscio”.

Alla fine un ragazzo gli ha chiesto: “Scriva una poesia per noi”. “Non posso decidere di scrivere una poesia su Nisida – ha risposto – ma spero che le parole per farlo vengano presto a bussare alla mia porta”. Qualche mese dopo è arrivato un sonetto-gioiello, che custodiamo come un’emozione impagabile.

Mi è capitato, per lavoro, di conoscere non pochi scrittori e qualche poeta. Con Bonnefoy, ho avuto la percezione di toccare la Poesia: nell’assoluta concretezza della sua spirituale Bellezza.



Ps. Oggi, sul Domenicale del Sole, Carlo Ossola parla dell’ultimo libro di Yves Bonnefoy e ricorda che il 24 giugno prossimo il grande autore francese compirà 90 anni.

sabato 18 maggio 2013

Donne e madri (imPerfette)








«Amorevolezza e maternità quasi si escludono a vicenda. La vera maternità è coraggio virile. Quanti baci materni vanno a finire su teste non infantili e quanti non materni su quelle infantili».

Ho letto questa citazione della Cvetaeva (Indizi terrestri, Guanda 1980) in uno dei tanti pezzi che il blog del Corsera la 27 ora(solitamente intelligente e interessante, nell’occasione di più) ha dedicato alla maternità in una ricorrenza, quella della festa della mamma, che mi è sembrata, sui media, più fortemente richiamata rispetto agli anni precedenti.

Sul Corsera online, intanto, ogni giorno c’è una nuova puntata di Una mamma imperfetta (gran bella idea e gran bella realizzazione di Ivan Cotroneo).

La maternità è argomento complesso, a molti strati, pieghe, pieni e vuoti, aspetti passibili di analisi psicologico-sociale e altri, piuttosto, da narrazione letteraria, autobiografia che tocca l’interpretazione che ciascuna dà, coscientemente o meno, della vita e della morte, del corpo e del pensiero, della concretezza e dell’astrazione, della terra e dell’anima. 

Su donne e maternità c’è ancora tanto da dire (da dirsi). Come molto da dire (da dirsi) c’è su uomini e paternità. Perché i figli sono figli di entrambi i genitori.

martedì 14 maggio 2013

Nisida. Laboratorio di Politica con Laura Boldrini




Alcune lasciano niente più che un po’di stanchezza. Qualcuna viene dimenticata presto. Qualche altra resta nel bagaglio delle cose preziose della propria vita.

Parlo delle visite. Ovvero di tutte quelle, innumerevoli, personalità che, richieste o di propria volontà, arrivano nel carcere minorile di Nisida.

Uomini (e donne) della cultura, dello spettacolo, dell’arte, dell’economia, della politica. Talvolta, delle Istituzioni. Nei miei trent’anni lavoro nel carcere ho visto tutti i ministri della Giustizia via via in carica, un ministro dell’Istruzione, un ministro per l'Innovazione, 4 Presidenti della Repubblica, di cui uno, quello diventato bis Presidente, c’era venuto anche quando presiedeva la Camera.

Anche ieri è arrivata una visita di quelle da bollino “livello altissimo”. Un incontro reale, snodatosi attraverso le varie attività dell’Istituto e che ha avuto un momento di dibattito in quel Laboratorio di Politica dedicato a Roberto Dinacci  di cui andiamo molto orgogliosi perché consente ai nostri ragazzi, che vivono ai margini, fuori o contro lo Stato di confrontarsi sui temi della cittadinanza ovvero dell’essere cittadini all’interno di una comunità con chi ha, a livelli diversi, responsabilità sulla cosa pubblica in uno scambio che, quanto più e vero, tanto più è utile ad entrambi.

Laura Boldrini ha interrotto la prima domanda (domande vere; scritte e selezionate dia ragazzi) di una giovane rom (Nisida è l’unico carcere minorile del Meridione ad avere una sezione femminile) per dire: “Grazie. Sono contenta che mi hai chiamato: Signora Presidente… sì io sono Presidente e sono una Donna”.

Le domande sono continuate (la situazione delle carceri, la mancanza di lavoro per i giovani, la violenza sulle donne, il senso della politica) e le risposte sono state chiare, garbate e appassionate.

Che cosa i ragazzi e ragazze di Nisida ne hanno recepito lo vedremo nel tempo. Certo, sarà mio compito, già da stamattina, provare a far scrivere le loro reazioni immediate, ma è la distanza che consentirà di cogliere se una frase, un concetto, un modo di porgere ha acquisito un significato più forte per loro.

Anch’io sedimenterò nel tempo una giornata che, con tutta l’abitudine alle visite, resterà tra quelle più particolari della mia vita lavorativa.

Delle tante cose immediate che potrei dire, ne scelgo una.

Laura Boldrini ha ascoltato. Non ha sentito giusto per agganciare risposta a domanda. Ma ha posto attenzione per capire.

Dovrebbe essere ovvio, eppure: è una bella cosa vedere che una signora, terza carica dello Stato, lo fa.



Queste le mie osservazioni sulla visita della Presidente della Camera, Laura Boldrini a Nisida, il 13 maggio, pubblicate su Zoomsud: http://www.zoomsud.it/commenti/52400-una-signora-presidente-tra-i-ragazzi-di-nisida.htm

Tra gli articoli pubblicati oggi, rimando a questo pezzo di Conchita Sannino sulla Repubblica on line 
 http://napoli.repubblica.it/cronaca/2013/05/14/news/boldrini_tra_i_giovani_detenuti_di_nisida_presidente_come_possiamo_aver_fiducia_-58739840/



































domenica 12 maggio 2013

Benvenuta, presidente Boldrini







Naturalmente, tutti i ministri della Giustizia. Un ministro dell’Istruzione. Quattro capi dello Stato e un presidente della Camera diventato poi unico Presidente e Presidente bis.


Sono le personalità di più alto livello istituzionale che ho incontrato, a Nisida nei miei trent’anni di insegnamento.


Domani, ci sarà Laura Boldrini, terza donna a ricoprire, dall’istituzione della Repubblica, la terza carica dello Stato.


Un felice benvenuto, Presidente.