 |
Bambini ucraini disegnano la pace. Immagine dal Web
|
Potevano scegliere fra il disonore
e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra.
Delle frasi storiche che hanno costellato i miei studi e le mie letture, quella
di Churchill riferita agli accordi di Monaco, non l’ho mai dimenticata.
Ed è sulla base di quella lezione – le due, tre persone con cui più
ho più discusso in queste settimane mi potrebbero fare da testimone – che, avessi
avuto il potere di farlo o di promuoverlo, avrei dato molto di più,
militarmente, all’Ucraina.
Dice: “Ma così si arriva alla terza
guerra mondiale.” Capisco il timore, ma non lo condivido. Il presidente russo ha
agito sulla base della convinzione che l’Occidente avrebbe reagito poco e
niente. E l’Occidente poco e niente anche questa volta avrebbe reagito, come
sulla Crimea, se l’Ucraina non avesse scelto la strada della Resistenza ad oltranza.
Ed è di fronte a quella Resistenza che vorrei non dovermi vergognare negli anni
a venire, come occidentale, per non aver offerto abbastanza appoggio. Anche
perché più quella Resistenza fosse stata e fosse appoggiata tanto meno il presidente
russo andrebbe avanti nei suoi obiettivi: perché è sicuramente fortissimo
militarmente, anche per via delle atomiche, ma meno, forse molto meno, di
quanto sembra.
Siamo ancora dentro gli effetti della
prima guerra mondiale. E questa guerra non si concluderà, anche con l’Ucraina
distrutta, se non con la fine del potere russo, della sua visione vetero
zarista: l’impero russo, persa la prima guerra mondiale, si è ricostituito come
impero sovietico, dando un contributo decisivo alla vittoria contro il
nazifascismo, ma dominando con mano dittatoriale al suo interno e nei paesi
satelliti. Nell’infinita serie di guerre che segna la storia dell’Europa, non
ne usciremo, stavolta, se non con la sconfitta di Putin e del suo progetto
antioccidentale.
Che la guerra sia morte e
distruzione, è lampante. Che non dovrebbe accadere è certo. Che bisogna trovare
soluzioni diplomatiche è addirittura ovvio (ma per negoziare bisogna volerlo in
due). Ma proprio perché cresciuta col batticuore del 25 aprile – non per nulla
la data che a suo tempo scelsi per sposarmi – non ho mai pensato che non ne
esistono di “giuste”. Lo stesso, auspicabile, disarmo va preso cum grano salis: se, come diceva Cechov,
quando in scena appare un fucile nel primo atto nel terzo sparerà, quindi meno
o niente armi per tutti è meglio, è anche vero che se il paese X (magari con
governo dittatoriale e guerrafondaio) sa che il paese Z (magari democratico e
pacifico) è ben armato più difficilmente lo attaccherà, e, quindi, anche le
armi occorrono per difendersi nel caso, ma, sperabilmente, come bastevole
deterrente alla guerra.
Che tutto ciò sia reale nel 2022 è un’angosciante
sconfitta di umanità. Ed è il terribile bagno di realtà in cui dopo decenni di
ubriacatura sulle magnifiche sorti e
progressive – perché di guerre nel mondo siamo pieni, ma non toccandoci da
vicino, non mettendo in pericolo la nostra economia e non provocandoci timori “atomici”
non abbiamo voluto accorgercene – siamo immersi.
Come tutto ciò si possa conciliare
con il messaggio evangelico, che l’Europa, ad Oriente e ad Occidente, ha, almeno
culturalmente, assimilato è una ferita profonda. Mi verrebbe da dire: “Perdonaci,
Signore. Abbiamo due millenni di Nuovo, ma dobbiamo ancora considerare compiuto
il Vecchio Testamento”.