domenica 30 maggio 2021

Cosarelle: Il sogno di Eva

 


La sera prima, Eva era andata a dormire ancora ridendo per un film di intelligente ironia ed era subito scivolata in un sonno quieto. Ma quando riaprì gli occhi aveva ancora la sgradevole sensazione del sogno: vetri in frantumi tra le dita dei piedi. Nei giorni precedenti, aveva sognato che le era stata rubata la macchina e, prima ancora, la stessa macchina incidentata. Perché il suo inconscio la riportava a un tale senso di fragilità, in giorni in cui si avvertiva relativamente tranquilla dopo mesi angosciosi?

Era propensa a ritenere che i sogni – che raramente ricordava – parlassero del passato più che del futuro: avrebbe voluto, ora, esserne certa, non avvertire la sottile inquietudine di una reiterata premonizione di guai.

La vita le scorreva davanti, come un piccolo fiume in cui confluivano quattro rivi. Fino a dieci anni o poco più, era stata plasmata da genitori e insegnanti; dai dieci ai venticinque si era progressivamente costruita, portandosi dietro, comunque, quel retaggio; nei successivi quaranta, aveva vissuto, nei limiti del carattere e delle circostanze, come voleva. Ora che i settanta erano ad un passo, le tornava – intermittente, ma forte – quel senso di fallimento che l’aveva, comunque, sempre accompagnata. Sarebbe bastato poco perché quella benedetta pallina, toccando il nastro, fosse caduta dal lato giusto segnando il punto decisivo. Non era accaduto: e non per caso fortuito, ma per il concretizzarsi di troppi limiti, di troppi errori. E così, dell’attesa stupita che allargava i suoi occhi di bambina non era stato realizzato abbastanza.

Che fare di fronte a quel non abbastanza che la invadeva di un dolore fisico, assoluto? S’abbandonava, talvolta, ad un istintivo desiderio di fuga, coltivando l’illusione di andare via, da se stessa e da tutti, di dissolversi, sparire. Altre volte si chiedeva se la disciplina della ragione potesse trasformare in espiazione la consapevolezza del proprio fallimento. Ma serpeggiava, piano, quasi impercettibile, una terza strada. Lasciar scorrere il passato; dialogare con gli errori, senza fare la lista delle perdite e dei vuoti; riparare il presente; stupirsi d’ogni gemma di nuovo inizio.

sabato 29 maggio 2021

Cosarelle: Il diario di Rooke/ Un racconto per jane Austen


“E se sostituissimo le tende?”

La signora Smith e l’infermiera Rooke stavano prendendo il té nel salottino piccolo che, al tramonto, assumeva toni dorati. Chiacchieravano, immaginando cambiamenti che rendessero più gradevole la permanenza a casa loro di Walter e Mary, i figli di Anne Elliott e del capitano Wentworth.

Anne e il marito si sarebbero assentati per una settimana: avrebbero partecipato, a Londra, ai festeggiamenti per l’incoronazione di Giorgio IV. La signora Smith si era offerta di trasferirsi momentaneamente a Kellynch-Hall, ma i bambini avevano ottenuto di spostarsi a casa delle due signore. “Faremo anche noi un viaggio”, aveva detto Walter, il più grandicello, accompagnato, a mo’ di coro, dai “sì, sì” di Mary. Anne aveva acconsentito, sicura che i bambini si sarebbero trovati in un ambiente familiare, e al capitano Wentworth faceva piacere che i figli crescessero forti e senza timori di affrontare nuove esperienze.

Erano ormai passati sette anni da un pomeriggio indimenticabile. La signora Smith, grazie alle precise informazioni dell’infermiera Rooke, sua massima fonte di conoscenza su quanto accadeva a Bath, aveva svelato ad Anne Elliot, cara amica dai tempi del collegio, che le intenzioni del suo corteggiatore, il cugino William Elliot, non erano del tutto limpide. La rivelazione aveva confermato Anne nel sentimento per Wentworth. Otto anni dopo essersi sottomessa alla persuasione, esercitata su di lei da lady Russel e senza più recriminazioni sul passato, Anne aveva ormai una piena consapevolezza di sé.

Il matrimonio tra Anne e il capitano Wentworth aveva rafforzato l’amicizia tra la già signorina Elliot e la signora Smith, dando a quest’ultima un nuovo e fidato amico. Grazie all’interessamento del capitano Wentworth, la signora Smith aveva recuperato la proprietà del marito nelle Indie Occidentali e incrementato le sue rendite. La sua salute era molto migliorata e Rooke, già infermiera a ore e confidente nel tempo libero, era rimasta costante, fidata e gradevole compagnia delle sue giornate. Vivevano insieme non lontano da Kellynch-hall. Gaiezza e vivacità mentale animavano le loro conversazioni, che occupavano buona parte della loro giornata e sembravano a entrambe già sufficienti a dare senso alle loro vite. Senso che si faceva più gioioso e pieno quando vi partecipava anche Anne. Talvolta vi si univa pure lady Russel o la signora Croft: la prima le arricchiva con una saggezza resa più duttile dal tempo e l’altra con una freschezza che il tempo non aveva offuscato. Quand’erano sole, la signora Smith e Rooke non frenavano le battute su William Elliot. Andato a monte il matrimonio con Anne, sir William, dopo una fase di convivenza, s’era convinto a sposare la signora Clay, donna non priva di furbizia, se non di intelligenza, e modi garbati, che gli facevano, però, rimpiangere le doti di livello ben più alto di Anne. Elizabeth – già non poco infastidita dall’essere rimasta l’unica non sposata delle tre sorelle Elliot – aveva sofferto il matrimonio di Willian e della signora Clay come una doppia sconfitta personale, quasi un complotto ordito contro di lei dall’uomo che aveva immaginato di poter sposare e dalla donna che aveva incautamente eletta ad amica, preferendo la sua compagnia a quella della sorella. Cercando la rivincita rivolse le sue attenzioni ad un vedovo, né giovane né bello, che, al titolo di baronetto, accompagnava lo stesso sprezzo nobiliare ma molti meno debiti di sir Walter. Si sposarono qualche anno dopo Anne e rimasero a vivere a Bath insieme al padre di lei che, dopo il matrimonio della signora Clay, non diede mai più sospetto di pensare ad accasarsi. Su Elizabeth, sui suoi modi, sul suo sguardo steso come un tappeto davanti a chi più poteva vantare titoli di nobiltà e cieco davanti a chi non considerava socialmente degno d’attenzione, la signora Smith e Rooke trovavano sempre, con molto conforto, di che spettegolare.

“Cominciamo col controllare la biancheria”, disse la signora Smith dopo aver inzuppato nel te l’ultimo pasticcino e si avviò, insieme a Rooke, nella sua camera da letto, dove c’erano due grandi bauli. Da uno di questi, tirò fuori lenzuola, federe e copriletto. Ce n’erano in quantità. Era già estate, non ci sarebbe stato bisogno di coperte, neppure leggere. Poi, tirò fuori le asciugamani e la biancheria da bagno: e, anche di questa, ce n’era più che a sufficienza.

“Saranno belle giornate – disse Rooke – Sono bambini ben educati, i più bravi che abbia mai visto”.

“Sì, hanno una guida sicura nella madre e nel padre – osservò la signora Smith – Sono affettuosi senza affettazione e obbedienti senza bisogno di moine.” Rimase un attimo sovrappensiero e aggiunse: “Vi ricordate della signora Musgrove, la suocera di Mary? Diceva che Anne sapeva trattare i bambini, mentre sua sorella viziava i figli tanto che si era costretti, per farli stare buoni, a riprenderli continuamente e a rimpinzarli di dolci.”

Rooke sorrise abbassando ripetutamente la testa in un “sì” e continuò: “Quando stavo al servizio della signora Wallis, la cuoca faceva per lei una torta di fragole da rimettere in piedi i malati. I bambini Wentworth sono sani come pesci, ma la mangerebbero volentieri.”

“Avete la ricetta?”

“Ecco…”

Era la prima volta, in tanti anni di frequentazione, che la signora Rooke perdesse la parola. Solo dopo aver bevuto un’altra tazza di té, riuscì a ricomporsi dalla folla di emozioni che le si erano accalcate in petto. “Vedete – disse – quando ci siamo conosciute, non avevo molti soldi per comprare libri e scrivevo un diario per leggere le mie stesse storie. La ricetta l’ho appuntata in quelle pagine. Ma quel diario non ce l’ho più. A Bath ho conosciuto una signorina. Non ho mai visto occhi brillanti come i suoi: parevano venire da un altro mondo e andare verso un altro mondo. Le raccontai di sir William, di Anne Elliott, di voi, di quel pomeriggio in cui le avete riferito quello che avevo saputo in casa del colonnello Wallis. Le feci leggere il mio diario. Restituendomi il quaderno, fece molti complimenti sul mio scritto. Ebbi l’impulso di regalarglielo. Accettò con garbo. Lo portò al petto, mi ringraziò e mi abbracciò. Disse che l’avrebbe utilizzato per un suo romanzo. Passò poco tempo e seppi che era morta. Ma, dopo, quel romanzo è stato davvero pubblicato. L’ho letto e lo tengo nascosto tra le mie poche cose preziose.”

La signora Smith l’ascoltava, la bocca aperta in un silenzioso “o” di incredulità.

“La nostra storia!?!”

“Sì. E con i nostri stessi nomi…”

“Com’è possibile?”

“Ci ho pensato tanto. Si sarà convinta che, quello, non era un diario, ma una storia inventata…”

“Rooke, tu romanziera?”, rise la signora Smith.

Rise anche Rooke, poi si fece seria, quasi commossa: “Già… In fondo, noi due viviamo solo perché raccontiamo sempre storie. E anche la nostra vita non è che un romanzo.”

 

 

Racconto scritto per il Concorso Jasit (Jane Austen Society of Italy) dedicato a personaggi minori della Austen.

 

 

 

 

 

domenica 23 maggio 2021

Le ultime nespole


Il terreno è quasi secco, ma con oasi

di piccoli fiori viola - gli alberi brillano

di verde intenso. L’alba di maggio

mescola luce di primavera e d’estate.

I piedi ben fermi negli stivali

da campagna mi danno un senso

di inusuale stabilità. Il cuore non trema.

 

Con due secchi di plastica sovrapposti,

in mancanza di una scala, acquisto

un po’ d’altezza. Raccolgo le ultime

nespole nella quiete accesa

di piccoli istanti di pienezza.

Immemore di tutto, se non della luce,

del vento, dei fiori vermigli del melograno,

mentre in lontananza sul mare scivola

leggera una nave.

 

mercoledì 19 maggio 2021

La Storia senza redenzione. Il racconto del Mezzogiorno lungo due secoli di Giuseppe Lupo

 


La Storia senza redenzione. Il racconto del Mezzogiorno lungo due secoli di Giuseppe Lupo, edito da Rubbettino, sostiene, in estrema sintesi, che la narrativa prodotta da autori nati o vissuti per qualche tempo a Sud, da Verga a Levi a Saviano, si è attardata nella conferma piuttosto che nella riscrittura della realtà meridionale, col risultato di una sovrabbondanza di opere che narrano la sconfitta di un popolo, il suo essere e/o sentirsi vinto, i suoi mali, senza luce o prospettiva di riscatto.

Al di là dei possibili singoli rilievi (personalmente, per esempio, non avrei passato sotto totale silenzio, tra i calabresi, Mimmo Gangemi e Gioacchino Criaco) e delle eventuali perplessità sulla suddivisione tra narrativa angioina (agognata ma inesistente) e aragonese (troppo documentaria e poco creativa), risulta particolarmente interessante il nucleo centrale del libro, ovvero il potenziale narrativo che scaturisce (scaturirebbe) quando, nell’affrontare nodi storici, si facessero emergere, magari insieme agli errori ed errori degli eventi, gli elementi di riscatto e redenzione.

L’argomentare vivace e stimolante di Lupo – che non pone certo censure al racconto del male che attraversa la Storia, ma pone un problema di modalità del racconto, meglio: di capacità di visione – sembra sottintendere una domanda: la narrativa meridionale, nella fattispecie, quella alta dai Malavoglia ai Viceré, ha influenzato/influenza negativamente la società? La domanda, pur inespressa, sottrae al testo il possibile rilievo che la narrativa dovrebbe essere valutata come tale e non in quanto meridionale o femminile e simili, anzi dà corpo all’analisi della narrativa nella sua specificità meridionale. E potrebbe essere ulteriormente così precisata: la narrazione che il Sud ha prodotto di se stesso e quella che anche altri hanno prodotto del Meridione – una narrazione, direi, piena di pianti e rimpianti – ha fatto (insieme chiaramente ad altri fattori, da quello economico a quello sociale) la sua parte di palla al piede contribuendo al permanere della troppo lunga questione meridionale?

La risposta tende al “si”. Naturalmente non in maniera diretta: che il livello di lettura in Italia, a Sud specialmente, è talmente basso che la stragrande maggioranza delle opere citate nel testo non hanno neppure avuto lettori. Ma le stesse sono state recepite almeno da una parte della “classe intellettuale”, masticate nei circoli culturali, considerate, a torto o a ragione, esemplari”, riprese, nel tempo, dalla tv e da internet finendo col diventare “visione collettiva”, se non “inconscio collettivo”.

Come se ne esce? Annarosa Macrì ha una proposta, in fondo simile a quella di Giuseppe Lupo: “Ho detto provocatoriamente, in un dibattito al Salone del libro di Torino che gli scrittori calabresi devono decidersi una buona volta ad ammazzare i loro padri (ho venerato Alvaro, Strati, Seminara, La Cava, e gli ultimi tre li conoscevo bene...) e trovare nuove vie, nuovi temi e nuovi linguaggi, abbandonando una buona volta il post-neorealismo... È un dovere, secondo me, oltre che letterario, sociale, politico ed etico. Perché se non lo fanno loro, la Calabria contemporanea, chi la racconta?!”

Ragazzi di Nisida: I podcst del Sole 24 Ore a cura di Donata Marrazzo

 


È passato un anno da quando Donata Marrazzo mi ha detto dell’idea di dare voce, con dei podcast, all’allora appena pubblicato da Diego Guida, Dietro l’angolo c’è ancora strada. Per un lessico nisidiano a quando, dal 18 maggio 2021, i sette podcast sono stati messi in rete dal Sole 24 Ore.

Ne è valsa la pena. La serie dei Ragazzi di Nisida è un documento di emozionante e stimolante bellezza, che consente di affacciarsi, con discreta e sensibile attenzione, sulla vita dei ragazzi che finiscono in carcere attraverso le parole da loro dette e scritte nel Laboratorio di Scrittura, e diventate racconti grazie alla mediazione degli autori (nel libro in questione: viola Ardone, Sara Bilotti, Riccardo Brun, Daniela de Crescenzo, Mario Gelardi, Antonio Menna, Patrizia Rinaldi.)


 

Sono grata a Donata Marrazzo e ai suoi collaboratori per aver dato spazio, con tanta intelligente partecipazione, ad un lavoro che non è mai voluto essere solo un esercizio di lingua, ma uno spazio di pensiero, uno specchio per trovare la propria immagine più vera: un percorso di libertà.


Questo, su Fb, il commento ai Podcast di Antonio Menna:

Ieri ho camminato 9 km per Roma in uno stato di ipnosi ascoltando nelle cuffiette questo bellissimo Podcast: sette storie su e da Nisida, figlie di quel laboratorio di scrittura che Maria Franco tiene da anni, e che per la prima volta, grazie al Sole 24 ore e a Donata Marrazzo, diventano qui un piccolo film sonoro. Ci sono anche io (quinto episodio) ma soprattutto mi hanno incantato gli altri racconti scritti dai miei amici: quelle voci, quei frammenti che avevo già letto l'anno scorso nel libro “Dietro l’angolo c’è ancora strada. Appunti per un lessico nisidiano” (Guida editore) e che qui - nei podcast - ascoltati così, con il sottofondo musicale, con un montaggio attento, con voci calibrate (a parte la mia) brillano di più. Ve ne consiglio l'ascolto perché è un bell'avventurarsi. E poi camminare fa bene. E anche ascoltare.

 

E questo quello di Riccardo Brun:


Condivido le parole di Antonio . Anche io ho appena finito di ascoltare questi 7 podcast. L’effetto è incredibilmente potente. Anche per me che già conosco e amo quei sette racconti, così come conosco e amo i racconti dei libri precedenti, e che già conosco e amo le persone che giorno dopo giorno a Nisida cercano di tirare fuori dal baratro in cui sono precipitati i ragazzini reclusi nel carcere minorile. I sette racconti presenti nell’ultimo libro prodotto (“Dietro l’angolo c’è ancora strada. Per un lessico Nisidiano”, curato come gli altri da Maria Franco, edito da Diego Guida) sono, in questi brani audio, lo spunto per provare a ragionare, raccontare, capire le vite dei ragazzi difficili di Napoli. Provare a capire quei destini, immaginare come disinnescare le condizioni complessive che stringono quei ragazzi dentro angoli obbligati, ragionare sulle politiche del lavoro, di prevenzione, di inclusione sociale e di reinserimento dopo la pena: sono nodi fondamentali per l’immaginazione del futuro di Napoli, sono gli argomenti che sarebbe bello sentire da parte di chi si candida a governare la città nei prossimi anni. Questi podcast fanno il punto su anni di lavoro dentro al carcere. Fra commenti, interviste, brani musicali, letture dei nostri racconti, il lavoro di questi anni a Nisida assume una circolarità, una chiarezza, una incisività che ai miei occhi non aveva raggiunto fino ad ora. E’ un ascolto che consiglio a tutti, soprattutto a tutti i napoletani.