giovedì 30 aprile 2020

Meglio Caproni di Eliot







Aprile è il più crudele di tutti i mesi.
Non mi sono mai riconosciuta in questo verso di Eliot. Per me aprile è sempre stato il mese della Liberazione, che sempre ho associato a distese di papaveri rossi su piani di verde, sotto cieli azzurri, col sole che asciuga dalle ossa il freddo dell’inverno e venticelli odorosi di nuova vita. La bellezza che apre l’animo alla speranza che agisce.

Aprile è stato il più crudele dei mesi del 2020.
A febbraio abbiamo ancora pensato che, per noi, il Covid 19 sarebbe stato una realtà circoscritta. A marzo, tutta Italia è stata ristretta a casa. Per quanto sotto shock, abbiamo inizialmente affrontato la cosa con un generalizzato spirito positivo (andrà tutto bene), ma siamo arrivati ad aprile con la certezza che non tutto stava andando bene e con timori crescenti sul futuro. Prossimo e a più lungo termine.

Riconosciuta ad Eliot una certa capacità profetica, spero che, per maggio (per fine maggio, almeno) abbia ragione Giorgio Caproni:

Al bel tempo di maggio le serate
si fanno lunghe; e all'odore del fieno
che la strada, dal fondo, scalda in pieno
lume di luna, le allegre cantate
dall'osterie lontane, e le risate
dei giovani in amore, ad un sereno
spazio aprono porte e petto. Ameno
mese di maggio! E come alle folate
calde dall'erba risollevi i prati
ilari di chiarore, alle briose
tue arie, sopra i volti illuminati
a nuovo, una speranza di grandiose
notti più umane scalda i delicati
occhi, ed il sangue, alle giovani spose.

mercoledì 29 aprile 2020

Una storia al tramonto?






Ci sono ragioni per sperare? O siamo in una di quelle fasi storiche in cui si deve sperare senza speranza?

Dove tutto – la pericolosità della malattia, le difficoltà sanitarie ad affrontarlo, la debolezza della politica a indicare una prospettiva, il baratro della crisi economica, il dramma del lavoro che non ci sarà, la scuola che chissà se riaprirà a settembre, i traumi dei “confinati a casa” e quelli di chi ha continuato a lavorare fuori, la tragedia dei camion militari con le bare forse già scordata, la depressione crescente degli anziani soli e i danni accumulati dai bambini senz’aria e senza scuola e, sopra ogni altra cosa, i bambini che non nasceranno (pare che nei prossimi mesi avremo un ulteriore, sensibilissimo, decremento dell’indice di natalità) – ha tonalità scure.

La nostra storia, come l’abbiamo conosciuta, come siamo in grado d’interpretarla, è all’inizio della fine? Per ogni storia che muore, ce n’è una che nasce. Ma, questo, vale per le comunità, per i paesi. Per i singoli, la storia che muore è la morte.

Per quanti, in questi due mesi così imprevisti, s’è sbriciolato il futuro e, con esso, ha perso senso il passato? Quanti non vedono più luce, per quanto flebile, all’orizzonte? Per quanti è scomparso proprio l’orizzonte?

Quanti le ultime energie le spendono nella luce (buia; inconsapevole) del compiere il quotidiano dovere nudo dell’essere qui, nel mondo, oggi? Magari solo a pulire, a cucinare. Magari, leggere, pensare, forse pregare. Con la speranza di chi speranza non ne ha.