martedì 21 giugno 2016

Le parole felici , il mio consiglio di lettura per l'estate







Comincia la stagione dei consigli di lettura per le vacanze.

Ne darò uno anch’io.

È di parte, perché ho curato il libro e il laboratorio di scrittura da cui è nato.

Ma sono convinta che è un libro che può coinvolgere tanti, a cominciare da chi ha a che fare e/o è interessato ai ragazzi che crescono nelle nostre periferie (non solo di luoghi, ma anche sociali e culturali), alle loro vite complicate, al loro presente e futuro che s’intreccia a quello di tutti, compresi i tantissimi che, pure, sembrano non volersene accorgere.

Chi acquista Le parole felici - Esercizi di immaginazione a Nisida (Guida editore)  – lo si trova su Amazon in cartaceo e in e book – ci aiuterà a pubblicarne un altro, il prossimo anno. 
(Come sempre, gli autori parteciperanno del tutto gratuitamente, ma abbiamo bisogno di soldi per la stampa.)

Sarà l’ottavo, il primo di una serie nuova, sempre all’interno del progetto più complessivo di Nisida come parco letterario

Microstorie: La lista di Anna







Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre…
 
Il prete leggeva il Vangelo di Matteo con tono lievemente stridente. Nero di pelle, da chissà quale parte dell’Africa veniva e qual era la sua lingua materna. In piedi, la trentina di persone che partecipavano alla prima messa, sembravano ascoltare con attenzione.

Anna li conosceva di vista, non sapeva il nome di nessuno, neppure quello del prete. Dopo aver peregrinato per varie chiese, sempre seguendo un sacerdote che, all’omelia, le facesse battere il cuore, da qualche anno s’era fermata lì per due motivi. Il primo, che, nonostante non fosse vicinissima, la poteva raggiungere a piedi. Il secondo, che, nel piazzale antistante la chiesa, ogni domenica c’era il mercatino degli agricoltori. Ne frequentava alcuni e le faceva piacere non solo comprare verdura, pane e formaggi che le sembravano avere un odore di verità ma anche semplicemente rivedere le loro facce pulite.

All’omelia si perse nei suoi pensieri, come le capitava sempre. E, come ogni volta, cercò nella ripetizione di qualche giaculatoria di riportare la mente al silenzio del sacro. Pensava, nello stesso tempo, a più cose. E tutti i pensieri diversi erano inframmezzati da una serie di liste: la lista delle verdure da comprare, la lista di quello che già era in frigorifero, la lista di tutta la cucina settimanale, pranzo e cena, varianti incluse.

Il prete continuava a parlare. Anna avvertì come lo scatto di una lampadina e le fu chiaro che il pensiero del cibo era tra quelli che accompagnavano tutte le sue giornate.

Anna mangiava pochi cibi e in piccole quantità. Ma cucinava molto per il resto della famiglia: in dosi molto più sostenute del necessario e cercando di accontentare i gusti di tutti. Aveva, da giovane, dedicato tempo ed energia per preparare cene affollate che erano state banchi di prova delle sue capacità senza diventare mai la tranquilla convivialità degli amici e aveva poi limitato al massimo gli inviti, per evitarsi il peso di un giudizio su di lei, le sue scarse doti di casalinga, la sua cucina volenterosa e imperfetta.

Respirò. Provò a ripetere una preghiera. Ma la mente tornava a scavare nell’analisi del suo rapporto col cibo. Le capitava di scambiare qualche ricetta, ma di cucina parlava il meno possibile. Raramente chiedeva commenti ad un suo menù. Se marito o figli esprimevano una critica si sentiva in colpa, come avesse mancato al dovere fondamentale di nutrice; se manifestavano un apprezzamento si emozionava come per una menzione d’onore ricevuta al lavoro.

Il prete, finita la pausa di silenzio dopo l’omelia, stava già recitando il Credo. 
Anna si alzò in ritardo, stordita dal groviglio dei suoi pensieri, dalla necessità di trovarne un capo. 
Si chiese se sarebbe riuscita arrivare, alla fine della vita, libera. Almeno un po'

sabato 18 giugno 2016

No alla Brexit



Jo Cox, la deputata laburista uccisa al grido di "First Britain"

Nel 1939, entrando in guerra contro Hitler, l’Inghilterra ha salvato l’Europa da un baratro che avrebbe potuto inghiottirne per sempre l’antichissima civiltà.

È, insieme a tanti altri momenti della sua storia (dalla Magna Carta in poi) e alla sua splendida letteratura (Dickens e Austen in testa)  e le benemerite riduzioni della BBC, alla bellezza di Londra e a quella, struggente, delle sue campagne, ciò che continua a rendere il mio legame con la Gran Bretagna profondo, viscerale: un luogo profondamente amato, quasi una patria putativa.

Per questo, mi fa particolarmente male tutto ciò che di male arriva da quelle parti.

Con il referendum sulla Brexit, settanta anni dopo la vittoria sul nazismo, l’Inghilterra rischia di dare un colpo pesantissimo alla costruzione dell’Europa unita.

Costruzione che, oggi, non rispecchia certo i sogni dei padri fondatori, che è più attenta (e neppure ci riesce più che tanto tanto) alla finanza rispetto all’effettiva crescita sociale, che promulga norme sulla grandezza delle vongole ma non sa affrontare l’epocale immigrazione dall’Africa e dal Medio Oriente, che dà ai paesi membri ordini in campi in cui le sensibilità non sono omogenee, ecc. ecc.

Eppure, non c’è futuro per nessuno dei paesi europei fuori dalla casa comune Europa. 

Il solo fatto che il referendum sul Brexit si faccia non è positivo per l’Europa. 

Se contrariamente alle previsioni vincesse il no, il segno resterebbe, ma la ferita, forse, sarebbe rimarginabile.