«Dacci oggi il nostro pane quotidiano»,
insegna a pregare Gesù e, prima di essere crocifisso, spezza il pane per i suoi
discepoli consegnando in quel gesto la sua presenza sulla terra fino alla fine
del mondo. Ma non è solo il cristianesimo a conoscere la sacralità del pane.
Così è considerato da tutte le religioni e le civiltà nate nel bacino del
Mediterraneo: «Il paese
dove siamo nati e dove siamo cresciuti ci ha donato il sapore del suo pane.
Quando il destino ci spinge o ci esilia in un’altra terra, ce lo portiamo con
noi, in noi. Chi perde questo sapore, perde una parte del proprio paese e di sé
stesso.»
Scrive Predrag Matvejevic nel suo Pane nostro: «Il pane è più antico della scrittura e del libro. I
suoi primi nomi sono stati incisi su tavolette di argilla in lingue ormai
estinte. Parte del suo passato è rimasta tra le rovine. La sua storia è divisa
tra terre e popoli. La leggenda del pane affonda nel passato e nella storia. Si
sforza di accompagnarli senza identificarsi né con l’uno né con l’altra. Il
mattone servì da modello a colui che fece cuocere la prima focaccia. In età di
cui non si serba memoria o testimonianza, terra e pasta vennero a trovarsi sul
fuoco l’una accanto all’altra. Il legame del pane con il corpo umano si creò
dall’inizio.»
Nato nella notte dei tempi in Mesopotamia, intorno
al pane si sono sviluppate le comunità stanziali e i riti (seminare, falciare,
impastare, cuocere) che hanno strutturato le relazioni civili, segnando la separazione netta contro la barbarie. Legato alla storia sia delle
campagne che delle città, soprattutto di mare, il pane ha costituito un legame
tra Oriente e Occidente – c’è una connessione tra il pane nostro e il mare nostro.
La sua presenza e la sua assenza hanno segnato profondamente la nostra
letteratura, da Omero a Dante a Manzoni.
Insieme al sole, al mare, all’ulivo, il pane è
alla base del pensiero meridiano, una delle basi della storia del Mezzogiorno
italiano.
Per secoli il pane è stato l’unico effettivo
contrasto alla fame e alle carestie: «Per lungo tempo, e da qualche parte fino
a oggi, il pane è stato il principale alimento dell’uomo. Quello che ci si
mangiava insieme era un’aggiunta, un accessorio: il companatico. I ruoli sono
mutati: il pane nei tempi nuovi è diventato sempre più un contorno. È una delle
differenze da cui il mondo dei poveri si distingue da quello dei ricchi: i
primi ne vogliono sempre di più, gli altri vi rinunciano volentieri.»
Questa fa sì che la questione del pane sia oggi la più importante: «Fra qualche
decennio l’umanità ammonterà a otto miliardi di abitanti di cui un quarto
potrebbe restare senza pane. Cosa può fare la letteratura perché ci sia più
pane, per tutti e per ciascuno? Può solo esprimere preoccupazione o
inquietudine. L’antropologo Claude Lévi-Strauss ha scritto in Tristi tropici che “il mondo è
cominciato senza l’uomo, e può finire anche senza di lui.” L’umanità è nata
senza pane e può scomparire perché non ce l’ha più.»
Grande affresco storico, miniera di informazioni,
Pane nostro è un testo di rara forza
poetica: un libro che nutre il cuore e la mente. Da leggere assolutamente.
La sua morte mi colpisce come quella di un grande
amico.
Sua, in Breviario
mediterraneo è una delle definizioni più folgoranti della Calabria: «isola
senza mare». E senza il suo Pane nostro mai
avrei affrontato uno dei lavori più affascinanti che mi è capitato di poter
fare a Nisida: Parole come Pane-La
Sintassi di Nisida.
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