«Quanta forza ha una parola? E quanta ne
hanno molte, messe insieme a formare una frase? O un articolo di giornale? Le
parole hanno così tanta forza da restituirmi la salute dell’uomo che amo? Me lo
ridaranno sano e salvo? Mi riportano indietro nel tempo alla settimana scorsa?
Perché io fino a quattro giorni fa mi occupavo unicamente di sport e scrivevo
parole di sport. Guardavo partite di calcio, gare di ciclismo, tornei di
basket, meeting di atletica leggera e vivevo un’esistenza tranquilla. Oggi apprendo
dalle maggiori testate nazionali che sono in pericolo, che la ‘ndrangheta mi
minaccia. Ieri è stata bruciata la macchina che i miei genitori mi avevano
regalato per la laurea ed è stata gravemente ferita la persona di cui sono
innamorata. Nel punto in cui è avvenuto l’attentato ai mei danni sono stati
ritrovati i corpi morti di Rocco Papalia e Alberto Corsaro, due esponenti della
‘ndrina di Don Peppe Parisi. Avevo citato questo nome in un precedente articolo
che Roberto Saviano ha avuto la bontà di commentare. Devo dedurne che ho subìto
la punizione che spetta a chi si prende il “rischio” di nominare un capetto
mafioso. Tanta forza hanno dunque le parole! Potessi tornare indietro, non
scriverei più quell’articolo e chiederei di vivere senza avere a che fare con
dei criminali. Ma siccome non posso tornare indietro, mi tocca affrontare la
mia drammatica situazione. È l’unico modo che ho per difendermi è usarle di
nuovo, le mie parole. (…) Questo pomeriggio ho avuto la fortissima tentazione
di non mollare, di non digitare più neanche mezza parola su una tastiera, poi
ho capito che così sarei morta. Che le parole potevano salvarmi. Salvare me e
tutti noi altri che abitiamo in questa terra in mano a pochi delinquenti.
Vorrei che le parole avessero davvero la forza per scacciarli via. Che bastasse
un urlo: ANDATEVENE! »
Concetta
– Tina – Romeo, giovane giornalista di una testata reggina, si occupa di sport
e non ha alcuna particolare vocazione al martirio. Ma, nel post ferragosto del
2009, quando alcuni colleghi sono in ferie e agli altri tocca trasformarsi in
tuttologi, si trova a seguire un fatto di cronaca, l’incendio in un bosco nei
pressi di Agatea, in Aspromonte. Si trova così, inaspettatamente, al centro di
uno scontro tra due clan ‘ndranghetisti, guidati rispettivamente da don Peppe
Parisi e da don Rocco Stillitano.
Nonostante
subisca attentati, che portano, tra l’altro, al coma del suo amante, alla morte
di un collega, e alla scorta informale dell’ispettore di polizia Modafferi e
dei suoi uomini, sceglie di raccontare la verità: non quella “ufficiale”, bensì
quella “effettiva”, imperfetta e contraddittoria, man man che le si rivela.
Quando,
a conclusione della vicenda, un uomo a lei sconosciuto le porge un regalo in
segno di rispetto, prova a respingerlo: «Il rispetto è roba per altra gente.
Penso che stia sbagliando persona.» Ma si sente rispondere: «No, no, è a lei
che lo porto. Vede, c’è il rispetto per il potere e c’è il rispetto per il
coraggio. Il potere senza coraggio non è niente… Ma a volte anche il coraggio
senza potere. Lei in questi giorni ha dimostrato molto coraggio. Gente come lei
merita rispetto… e io gliene porto parecchio.»
Elemento
cardine di una certa cultura del Sud, il rispetto entra anche nel titolo del
primo libro di Vins Gallico. Reggino di nascita, Vins Gallico, che nel 2015 è
stato tra i candidati allo Strega con Final
cut, ha, infatti, esordito, nel 2010, con Portami rispetto (Rizzoli editore): tra i più interessanti e
moderni dei romanzi calabresi contemporanei: stupisce, immergendosi nelle sue
quasi seicento pagine, che non se ne sia tratta una fiction di successo.
Protagonista
è la ‘ndrangheta, nelle sue molteplici sfaccettature: quella ancora
arcaico-contadina; la manovalanza, adusa a qualsiasi violenza; quella che
rimpiange i bei tempi andati: «Adesso una femmina poteva permettersi il lusso
di imparare a leggere e scrivere, non le bastava più compiere soltanto i propri
doveri naturali: badare alla casa, preparare da mangiare, crescere i figli da
buona madre e fottere con il marito. Che brutta deriva aveva preso il mondo.
Prima tutto era diverso, era semplicemente meglio.» Quella che tratta con i
servizi segreti, gestisce grossi affari, sa di lettere e internet: «Don Rocco
Stillitani teneva sul suo comodino Le vite dei Cesari di Svetonio,
un’autobiografia di Elias Canetti, il terzo volume della trilogia di Stieg
Larsson e un tomo mastodontico che comprendeva tutta la Recherche di Marcel
Proust. (…) Aveva appena chiuso la connessione a Internet dopo aver inviato una
mail a Giulia, nick name dell’ometto grigio dei Servizi che lui chiamava bonariamente
il Commendatore. L’aveva fatto sotto le mentite sposglie di Rosario, un
adolescente brufoloso qualsiasi, che usava una lingua deplorevole e
giovanilistica. Per questo sentiva il bisogno di un riscatto culturale e
morale. (…) Don Rocco guardò l’orologio e decise di mettersi a letto, recitò le
sue preghiere e optò per Svetonio. Dormì le solite quattro ore… (…) Già prima
delle sette aveva controllato la rassegna stampa, fatto colazione e iniziato a
programmare lo sviluppo della discarica in località Agatea.»
Protagonista
è anche la città e il suo hinterland, le sue bellezze naturali e le mostruosità
che le deturpano (le spiagge distrutte, il mare sporco, gli scheletri di
costruzioni mai completate), il suo carattere profondo, le sue abitudini come
la passeggiata serale sul Lungomare, le mode assunte durante la fase di
Scopelliti sindaco: «Non sono nata in una terra normale. Non si può definire
normale una terra come questa. Lo si nota da piccoli particolari. Da come la
gente si comporta, da come parcheggia in doppia fila, da come sporca la
spiaggia, da come guida sulla 106, da come urla. Da come guarda e considera noi
donne. Minuscoli particolari, che indicano il totale disinteresse per la “res
pubblica”, i diritti umani e civili, la buona educazione. È una terra di
ciechi, di sordi, di conniventi, di assassini.»
Protagonista
è la vita in una piccola redazione di provincia, ma anche l’attività della
polizia e quella dei servizi segreti.
Protagonista
è, soprattutto, il racconto in sé, il suo essere, insieme, thriller, noir,
storia sentimentale, racconto di formazione civile, anche drammone ottocentesco
(la protagonista è inconsapevole figlia di un boss e nipote d’un altro boss):
trama ramificata e linguaggio scorrevole, con un uso dell’italiano e del dialetto
fortemente caratterizzante luoghi e personaggi.
Non
si tratta di un libro perfettamente compiuto – non sempre l’ampiezza della
trama corrisponde ad un approfondimento adeguato di fatti e personaggi – ma Portami rispetto si legge, e si vede, con gran piacere.
Ha
detto bene lo stesso Gallico definendo in un’intervista il suo libro come «un
voluminoso pageturner mediterraneo. Il mio intento era quello di unire alcune
caratteristiche della letteratura di cassetta anglosassone con la tradizione
del noir mediterraneo, raccontando però una storia italiana, tristemente e
coerentemente incastrata nei processi di corruzione, violenza e ingiustizia che
caratterizzano spesso il sud della nazione», ovvero di «unire due mondi
letterari, uno fatto di meccanismi narrativi, tempi e tensione (cioè il
thriller anglosassone), e l'altro composto di odori, sapori, malinconie (cioè
il noir mediterraneo). Che poi, questi incastri, uno non li pianifica, è la
storia che te li richiede, è la trama che si porta i personaggi.»
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