martedì 29 settembre 2020

Le parole che sfidano se stessi e conquistano la libertà (che è meglio della conquista del mondo)

 

Al tempo in cui al Mattino c’era Sergio Zavoli direttore, mi occupavo di Educazione allo Sviluppo per un’organizzazione di volontariato internazionale, Ltm. Ebbi l’ardire l’invitarlo ad una delle nostre conferenze e chissà come dalla segreteria mi risposero di sì. Venne fatto un relativo invito, che, nelle brevi del Mattino, cominciò a girare, girare, girare, nel mentre però era arrivata anche la comunicazione che Zavoli non ci sarebbe stato. Furono giorni da incubo perché, nonostante ogni sforzo, non riuscii a far capire a quelli che curavano le brevi del giornale che non dovevano più pubblicare quella notizia. (La cosa si chiuse con le mie dimissioni da responsabile di Educazione allo Sviluppo.)

L’episodio mi è tornato in mente ieri sera, quando TV 2000 che, per tutto il giorno aveva mandato in onda il trailer della puntata di Donne che sfidano il mondo a me dedicata, ne ha, invece, ripetuta una già passata la scorsa settimana. E mi sono trovata con la necessità di scusarmi con decine di persone, con cui già mi ero dovuta scusare a marzo, quando la trasmissione era stata sospesa, proprio quando sarebbe toccato a me, per il cambio di palinsesto dovuto al lockdown.

(Stavolta la cosa è durata poco, perché la rete, con un altro errore, ha mandato la puntata s You Tube.)

Ringrazio Riccardo Brun per avermi, con un eccesso di amichevole generosità, inserito in questa sua docuserie, peraltro molto bella – io non ho sfidato il mondo; ho sfidato me stessa – e, con lui, Beatrice Tomassetti e Mario Pantoni – il direttore di Nisida, Gianluca Guida e, soprattutto, Giovanni.

Spero che sia chiaro a tutti che – ragazzi/e che hanno avuto un’infanzia e una prima giovinezza complicate che li hanno portati in carcere e vogliano poi affrontare una vita “pulita”, “legale”, “serena” hanno di fronte a loro macigni terribili: devono continuamente sfidare se stessi, spesso la famiglia, di certo il quartiere ecc. ecc.: e in questo percorso, così complicato e difficile, non possono e non devono essere lasciati soli.

 


Le parole di Giovanni mi hanno riportato a qualche giorno prima, quando ho ricevuto il mio terzo Premio Siani per l’ultimo libro di Nisida, Dietro l’angolo, c’è ancora strada. Per un lessico nisidiano.”: un onore e una responsabilità di cui ringrazio Paolo e Gianmario Siani, Geppino Fiorenza, Carolina Amati.

Le bravissime Benedetta Donadio e Chiara Siano, due studentesse del Liceo Pansini (guidate dalla professoressa Antonia Giordano e sostenute dalla Ds Daniela Paparella), mi hanno posto una serie di domande, mostrando d’aver rivoltato il libro più d’un calzino. Ma non hanno notato un particolare, che per me vale un mare.

La protagonista del racconto lungo di Sara ha qualità e capacità alte, ma è priva di parola. Sono più che certa che il mutismo Teresa – come si chiama la protagonista di Nonostante il male, saremo sempre uniti – non è un dato fisico, ma l’inconsapevole metafora di uno stato: la libertà, quella profonda, quella di un nuovo pensiero e di una nuova visione della vita, passa dalla conquista della parola.

E trovare, come Giovanni, il coraggio di dire chi si era, chi si cerca di essere e la difficoltà che intercorre tra le due cose, è il passo da giganti verso la verità che rende liberi.

 

PS Nel frattempo, il video è stato tolto da YouTube. Riapparirà, penso, dopo che la puntata andrà in onda: quando, non lo so. 


PPS La puntata è andata in onda il 1 ottobre 2020 e subito dopo il relativo video è stato messo su YouTube




 

 

 

martedì 22 settembre 2020

Dopo il voto

 


Il 23 novembre 1980 ero al San Carlo. La dolcezza della musica – c’era Uto Ughi sul palco – fu travolta in un istante dalla violenza d’una scossa che sommuoveva il pavimento e faceva girare vertiginosamente i lampadari. La notte sembrò l’ultima che avremmo vissuto. Come poteva, in quel marasma, risorgere l’alba? Eppure, l’alba riapparve. E, nonostante scendesse una pioggia sottile da un cielo grigio e l’aria fosse come impregnata di caligine, le ore ricominciarono a scorrere nella sua quotidiana normalità. Fu, per me, una lezione indimenticabile: che la vita continua, sempre, anche se, magari, non per se stessi.

Alle elezioni di ieri, ci sono stati un po’ di sommovimenti (il termine terremoto lo lascerei agli eventi tellurici, come il termine cancro alla malattia: gli usi metaforici, per quanto centrati, hanno in sé troppo spesso una qualche, anche se involontaria, mancanza di rispetto). Alcuni lampanti. Altri che si coglieranno nei prossimi mesi. 

Prenderne atto è intelligente. Con la nota che, se si vince, non necessariamente si è dalla parte giusta e che se si perde si può essere da quella migliore della storia.

Ma che, appunto, stamattina – che piova o ci sia chiaro – il sole è lì. E che, tornare al “travaglio usato”, è la disciplina del nostro essere nel mondo.

 

 

martedì 15 settembre 2020

Ai miei colleghi: Dipende da voi

 


Prima, sono in tanti a doverci pensare: da chi ne ha compito istituzionale alle famiglie. Ma, quando la porta dell’aula si chiude (magari, ora è meglio lasciarla aperta), non contano più i ministri, i responsabili regionali del miur, i presidi o chicchessia. C’è solo l’insegnante e Giovanni, Francesca, Samantha o Omar.

Dalla capacità degli insegnanti di affrontare i problemi di oggi con intelligenza, sensibilità, creatività - dal loro sognare insieme ai ragazzi un domani possibile -  dipende il futuro di un bel po’ di generazioni.

È la qualità degli insegnanti (nonché dal numero, adeguato ai bisogni) il perno intorno a cui la società può ritrovare lo slancio di ricostruirsi, di rimettersi in moto, di innestare la marcia di buon futuro.

Non c’è ripresa economica che tenga se non cresce la cultura. E non c’è cultura possibile per tutti senza buona scuola.