Questo
è il mio contributo al concorso di saggistica riservato ai soci Jasit (La Jane
Austen society italiana) intitolato «Le madri. Presenze e assenze nei romanzi
austeniani» e di cui sono stati comunicati ieri i primi tre classificati che
saranno pubblicati sulla rivista dell’associazione Due pollici d’avorio. Il mio non è tra questi, ma sono contenta
d’aver avuto un’occasione per omaggiare la più grande di tutte.
Mrs Bennet e
le altre: le madri di Jane Austen
«Era una donna di
intelligenza modesta, di scarsa cultura e di carattere debole e incerto. Quando
era scontenta si convinceva di essere nervosa. Scopo della sua vita era trovare
marito alle figlie; i suoi svaghi le visite e le chiacchiere.»
Senza
Mrs Bennet – senza i suoi sproloqui, i suoi malanni, la sua foga di accasare le
figlie – Orgoglio e pregiudizio non
sarebbe il capolavoro che è. È lei, il personaggio più volutamente ridicolo, insieme a Mr Collins, della
sua intera opera, la madre per eccellenza di Jane Austen.
L’ineleganza
dei suoi modi e della sua conversazione non fanno arricciare il naso solo alle
vanesie sorelle di Bingley e all’orgoglioso e raffinato Darcy, ma mettono in
imbarazzo le sue due più sensibili e intelligenti figlie, Elizabeth e Jane, che
ne arrossiscono e se ne vergognano. Dalle crisi di nervi all’esagerato
buonumore, la Austen si diverte a descriverla con ironia garbata e
intelligente, senza fare sconti a nessuno dei suoi difetti, ma con una sorta di
affettuosa giocosità.
Nonostante
tutti i suoi limiti, Mrs Bennet non viene in alcun modo “punita”, al contrario
esce vittoriosa dalla sua “guerra”: nel giro di un anno si sposano ben tre
figlie e lei, che aveva fatto di tutto per mettere Jane davanti agli occhi di
Bingley e non s’era posta problemi “morali” per le circostanze del matrimonio
di Lydia, esplode di gioia per il fidanzamento “ricco” di Elizabeth: «Santo
cielo! Buon Dio! Incredibile! Mr Darcy! Chi lo avrebbe mai pensato! È proprio
vero? Oh, Lizzy, tesoro! Come sarai ricca e importante! Quanto denaro, quanti
gioielli, quante carrozze avrai! Quello che ha Jane è nulla al confronto,
proprio nulla! Sono così felice. Un uomo così affascinante! Così bello, così
alto! Oh, cara Lizzy! Ti prego, scusami con lui se l’ho tanto detestato finora.
Spero che se ne dimenticherà. Cara, cara Lizzy. Una casa in città! Che
bellezza! Tre figlie maritate! Diecimila sterline l’anno! Buon Dio! Che ne sarà
di me: finirò per diventare matta.»
Le
protagoniste, principali e secondarie, della Austen (gli uomini, anche i più
fascinosi, restano un gradino sotto) sono giovani donne che vogliono/devono
cercare marito e, anche quando non ci pensano, lì approdano perché il
matrimonio è l’unica, possibile, realizzazione della loro vita. In una società
che, per le donne, non contempla né studio né professione, è nella ricerca,
attiva o anche passiva, di semplice attesa di un marito, che si esplicitano
intelligenza, equilibrio e anche dignità. Una scelta in cui oculatezza e
sentimento si equilibrano è la forma di libertà più alta che le giovani donne
della Austen possono esperire. «Viviamo in casa, quiete, recluse, e i nostri
sentimenti ci assalgono, ci consumano – dice Anne Elliot – Voi (uomini, Ndr) siete portati per forza all’azione. Avete
sempre una professione, interessi, affari di vario genere che vi riportano
immediatamente nel mondo, e la continua attività, il continuo cambiamento fanno
sì che presto le impressioni si attenuino.»
Al
tempo della Austen, il matrimonio, punto culminante della gioventù, era la
scelta che definiva il resto dell’esistenza. Nel matrimonio, i figli sarebbero
venuti o meno: ma si trattava di un dato, non di una scelta. Il matrimonio,
quindi, anche semplicemente il suo annuncio, era il punto finale in cui far
convergere un racconto; la maternità, (come, del resto fino a pochi decenni fa)
non era contemplata come possibile centro narrativo.
Se
Mrs Bennet, in Orgoglio e pregiudizio,
ha un ruolo, sebbene non da protagonista, di assoluto rilievo, molte figure
materne, nella Austen, hanno posizioni decisamente secondarie: ma anche quando
a loro non sono dedicate che poche righe, si tratta di descrizioni di incisivo
nitore. L’orrida Ferrars che si tiene sempre alla larga «da quella vergogna
nella quale ella sembrava sempre timorosa di incorrere: la vergogna di essere
troppo amabile»
e la sua degna figlia, acida e sgradevole, dominata anch’essa dal dio denaro e
un esagerato senso di se stessa. L’odiosa lady Catherine di Orgoglio e pregiudizio che aveva deciso
il matrimonio di sua figlia con Darcy prima ancora che la piccola nascesse.
La
generosa ma superficiale signora Jennings che «aveva solamente due figlie, e
aveva vissuto per vederle entrambe rispettabilmente maritate, e quindi adesso
non trovava niente di meglio da fare se non cercare di unire in matrimonio
tutto il resto del mondo» e l’altrettanto
superficiale figlia Charlotte, ora signora Palmer, appena divenuta madre.
Più
spazio, e tanta ironia, dedica la Austen all’elegante e fredda lady Middelton,
che non aveva «niente di suo da dire al di là delle domande e delle
osservazioni più banali», ma «aveva preso la saggia
precauzione di portare con sé il figlio maggiore, un bel ragazzino di circa sei
anni, il quale nei momenti più difficili fornì sempre alle signore un argomento
perché c’era da chiederne il nome e l’età, da lodarne la bellezza e da porgli
domande alle quali la madre rispondeva per lui. [...]. Durante le visite di
cortesia dovrebbe esserci sempre un bambino per alimentare la conversazione.» Per lady Middelton, la
lode ai suoi figli vale una doppia lode a lei, o anche più: «Fortunatamente per
coloro i quali corteggiano il prossimo sfruttandone così i punti deboli, una
madre molto tenera, sebbene sia nel cercare lodi per i propri figli il più
rapace degli esseri umani, è parimenti anche il più credulo: le sue richieste
sono esorbitanti, ma inghiottirà di tutto. Perciò l’eccesso di affetto e di
tolleranza delle signorine Steele verso la sua prole fu contemplato da Lady
Middelton senza la minima sorpresa o diffidenza. Ella osservava con materno
compiacimento tutti gli scherzi impertinenti e le monellerie cui le cugine si
sottomettevano»,
persa in una sorta di adorazione di John che «oggi, non fa altro che birbonate» e di Annamaria, «sempre
così buona e quieta, è la cosina più quieta che ci sia», ma che, per un
graffietto da nulla, riesce a piantare una grana che non finisce più.
La
Austen mostra simpatia per Mrs Morland, madre dell’eroina de L’Abbazia di Norhanger: «Era una donna
assennata, di buon carattere e, quel che più conta, di sana costituzione. Aveva
già tre figli quando nacque Catherine; e, invece di morire nel mettere
quest’ultima al mondo, come poteva anche accadere, continuò a vivere e visse
per avere altri sei figli, vederseli crescere d’attorno, e godere essa pure di
ottima salute. [...] Mrs Morland era una gran brava donna, e desiderava dare ai
figli la migliore educazione possibile; ma era così indaffarata a mettere al
mondo e ad allevare i suoi piccoli, che le figliole maggiori restavano
inevitabilmente abbandonate a se stesse»: cosa che non impedisce a
Catherine, amante dei libri, non di studio, ma «di racconti che non
richiedevano riflessione» – «da quindici a
diciassette anni si allenò a diventare un’eroina leggendo tutti i romanzi che
le eroine devono conoscere» – di raggiungere un buon matrimonio:
«Certo Catherine sarebbe stata una sventata padroncina di casa, fu la profetica
osservazione materna subito seguita però dal consolante pensiero che nulla vale
quanto la pratica.»
Atmosfera
molto più cupa in un’altra casa affollata. Alle soglie del suo nono parto,
«circostanza che deplorava amaramente», Mrs Price scrive alla
sorella lady Beltram cercando la riconciliazione dopo una lunga rottura di
relazioni: «Li supplicava (sorella e cognato, Nrd) di far da padrini al
nascituro. Non nascondeva, inoltre, di essere conscia che solo la benevolenza
dei suoi poteva aiutarla a mantenere decorosamente gli otto figli già nati. Il
maggiore era un ragazzino di dieci anni, dall’intelligenza pronta, ansioso di
incominciare a farsi strada nel mondo: ma dove indirizzarlo? Forse Sir Thomas
avrebbe potuto impiegarlo in uno qualsiasi degli uffici che curavano i suoi
interessi nelle Indie Occidentali?» Ma i Beltram scelgono
Fanny: «Mrs Price parve alquanto sorpresa nel vedere che la scelta cadeva su
una delle ragazze, mentre lei aveva tanti simpatici maschietti, ma accettò
l’offerta con viva gratitudine.» Nella casa ricca in cui
si ritrova, Fanny sperimenta che zia Beltram non è più attenta verso i figli
della povera, trasandata, Mrs Price.
Non
tutte le eroine della Austen hanno una madre. È morta la madre di Emma
Woodhouse, cosa che non sembra aver minimamente influito sul carattere solare
della ragazza: era rimasta orfana «da troppi anni perché ella serbasse più
d’una vaga memoria delle sue carezze, e aveva fatto le veci di madre
un’eccellente donna in qualità di governante, che per affetto s’era dimostrata
poco meno di una madre.» Ed è morta la madre di
Anne Elliot, che ne conserva cara memoria nel cuore: «Lady Elliot era stata una
donna eccellente, assennata e amabile, il cui discernimento e la cui condotta,
se mai meritavano un’attenuante a causa dell’infatuazione giovanile che aveva
fatto di lei Lady Elliot, non avevano mai avuto in seguito bisogno d’indulgenza
di sorta. Per diciassette anni aveva assecondato, o smussato, o nascosto le
pecche del marito, aveva stimolato in lui il senso della vera responsabilità; e
benché non fosse ella stessa la più felice creatura di questo mondo, aveva
trovato nei suoi doveri, nelle amicizie, nelle figliole, ragioni sufficienti
per attaccarsi alla vita, per non guardare con indifferenza al momento in cui
fu chiamata a separarsi da loro. Lasciare tre ragazze (le due maggiori
rispettivamente di sedici e quattordici anni) era questo per la madre un
angoscioso legato, e ancora più angosciosa era la responsabilità di affidarle
alla guida e all’autorità di un padre sciocco e vanesio. Aveva tuttavia
un’intima amica, donna assennata e stimabile [...] e sulla gentilezza di lei,
sui suoi consigli, lady Elliot contava soprattutto per un valido aiuto e
sostegno dei buoni principi e dei precetti che così ansiosa cura aveva
impartito alle figlie.» Se è lecito dubitare che
lady Elliot avrebbe “bloccato” la scelta amorosa di Anne, come fa l’affettuosa
ma molto attenta alle convenzioni sociali lady Russel, è difficile immaginarla
come la piagnucolosa figlia Mary, facile a pensarsi malata e incapace, a detta
di marito e suocera, di occuparsi dei bambini senza viziarli. Quando il marito
decide di andare a cena dai suoi, nonostante il piccolo incidente che tiene
costretto a letto il figlio, Mary esplode: «Ecco! Tu (Anne, Ndr) ed io veniamo
lasciate qui a cavarcela da sole accanto a questo povero bambino malato senza
che nessuno, per tutta la sera, venga a tenerci compagnia! Sapevo che sarebbe andata
così. È il mio destino, sempre. Se c’è qualcosa di spiacevole, puoi star sicura
che gli uomini se la battono sempre, e Charles è come tutti loro. [...] Spero
di amare mio figlio quanto qualsiasi madre ama il suo, ma non credo proprio di
essere più utile al suo capezzale di quanto possa esserlo Charles.» L’offerta di Anne a
restare lei col bambino dà uno sbocco tranquillo
a questa sorta di rivendicazione proto-femminista: Mary va col marito,
«tutti e due d’ottimo umore.»
La
più dolce delle madri austeniane è la signora Dashwood di Ragione e sentimento. Rimasta vedova e priva di mezzi, deve
lasciare la sua casa e accettare di vivere in un cottage con le tre figlie, la
saggia Elinor, l’appassionata Marianne e la giovanissima Margaret. Una donna
“normale”, che non sempre riesce a “vedere” chiaramente ciò che sta succedendo;
gentile, dignitosa, discreta, fiduciosa nelle buone scelte delle figlie. In una
parola che lei stessa usa spesso per gli altri: amabile. Del tutto diversa
dall’intrusiva e intrigante signora Bennet, ma anche lei premiata con due matrimoni: quello di Elinor con Edward Ferrars e
quello di Marianne col colonnello Brandon.
Confermando
che le madri hanno, per la Austen, un compito supremo: avviare le figlie ad un
matrimonio conveniente: mai privo di
sentimenti e, se possibile, ricco. Non sappiamo nulla di che madri siano, poi,
state, Elizabeth e Jane, Emma e Anne e Fanny, Elinor e Marianne: ma darei per
certo che, ciascuna a modo suo, tutte hanno adempiuto al meglio al loro
compito.