“Era tornata a Trieste
perché ne aveva nostalgia: i suoi palazzi, le industriose botteghe, persino il
tanfo di birra e di crauti e di cren agli angoli di vie nascoste e nei cantoni
della Città Vecchia, l’azzurrognolo del cielo senza orizzonte, colluso con la
chiara vastità della marina che penetrava fin dentro alla città, dentro gli
arcani caffè, velava le facciate e acquerellava le cupole di cilestino, e poi
il blu profondo di alcune luminose mattine di bora.”
Da reggina (come sono)
innamorata di Trieste (città che non ho mai visto, ma che amo
appassionatamente, un amore storico e
letterario, scoppiato alle elementari
sui versi di Saba e poi cresciuto sulle pagine dei vari autori che l’hanno
raccontata) non potevo che leggere d’un fiato Si può tornare indietro di Ada Murolo, appena pubblicato da
Astoria.
L’autrice, ex insegnante,
nata a Reggio (qualche anno fa ha pubblicato Il mare di Palizzi), e vissuta lunghi anni a Trieste, costruisce la
sua storia intorno ad una data storica, quel 4 novembre del 1954
in cui Trieste festeggiò in piazza il suo ritorno all’Italia: “Quella giornata,
che custodiva in seno il tempo sospeso di migliaia di vite, dunque sembrava
allentarsi e sgretolarsi per liberarne di nuovo il corso e, mentre nell’aria risuonava
ancora, flebile ormai, l’eco eroica della speranza collettiva, riprendevano il
cammino interrotto i pensieri mediocri e quotidiani di ognuno, liberati dalle
maglie di quell’illusoria felicità nuova.”
Le due amiche tanto
diverse da loro, la timida, biondo-slavata Alina, figlia di una benestante
famiglia ebrea e la mora, affamata d’amore Berta, figlia di un alcolizzato e di
una domestica, separate dalle vicende storiche e dalle scelte di vita – la
prima, unica sopravvissuta della sua casa ai campi di sterminio, fuoruscita
dalla clinica psichiatrica in cui è rinchiusa e la seconda, scappata, con due
figlie piccole, dalla Romagna contadina, dove aveva seguito, da moglie, il bel
soldato conosciuto quando era di stanza a Trieste – si rivedono nella
straripante piazza della festa.
Gli orecchini di Nora, la
madre di Alina, che si intravvedono oltre i capelli sciolti di Berta sono la
scintilla da cui, in un lungo flashback cha alterna personaggi e tempi, si
dipanano le vicende che hanno portato fin lì le due amiche d’infanzia. Il
ritrovarsi è come un possibile riinizio per entrambe, nonostante le ferite che
ognuna di loro si porta dentro: la fiducia nella forza intrinseca della vita di
cercare, sempre e comunque, altra vita che il titolo, senza punto
interrogativo, sottolinea.
Libro non del tutto perfetto
(soprattutto per lo scemare del ritmo nel finale), Si può tornare indietro è un testo vivo e di felice lettura per lo
stile classico, fluente senza orpelli, la descrizione di due protagoniste vere e di altrettanto veri comprimari (in particolare la
moglie del sarto e lo squallido Italo che, in momenti diversi della vita, fa
male prima ad Alina e poi a Berta), l’uso vivace del triestino, il naturale intessersi delle storie
personali nella Storia generale, la descrizione, innamorata, di Trieste, del
suo mare e della sua “coroncina di alture”, della bora, delle piazze, dei
caffè, dei canali, dei negozi, dei moli e delle rive, del suo cielo e della sua aria.
Un libro che è
impossibile leggere, senza desiderare di andare a conoscerla, Trieste,
percorrendola tutta intera e respirandola a pieni polmoni.
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