Nei miei ricordi, don
Demetrio era già anziano. Piuttosto massiccio, la pancia che tendeva la tonaca,
il colletto della veste sbottonato, don Demetrio non era particolarmente colto.
Da grande sentii qualche chiacchiera su di lui, ma non me ne sono mai occupata.
Ha due grandi meriti: quello di essere riuscito, elemosinando a destra e a
manca, a costruire la chiesa nuova e quello di dare a noi che crescevamo uno
spazio che, a pensarci adesso, sembra davvero impossibile in una piccola
parrocchia d’una periferia calabrese. Noi giovani
gestivamo un giornalino, organizzavamo spettacoli di beneficenza (riuscimmo
a raccogliere una gran bella cifra per il Biafra), se ne veniva con noi per le
Pasquette. Le sue messe di mezzanotte, a Natale e a Pasqua, iniziavano intorno
alle ventuno e non ho mai più rivisto i riti della notte di Pasqua, soprattutto
l’accensione del fuoco, di così intensa bellezza.
Ad Assisi, appena
diplomata, ad un convegno conobbi tanti futuri preti, molti dei quali si
preparavano ad andare in missione in Africa. Con padre Riccardo ho mantenuto
una fitta corrispondenza per anni. Non so più cosa ne è di loro.
Monsignor Giuseppe, poi
vescovo in Calabria, era una personalità a Reggio. Allegro, gli occhi sempre
sorridenti, ironico, circondato da moltissime persone che lo consideravano un
imprescindibile riferimento spirituale e di vita, animava tantissime attività
ma aveva sempre tempo per tutti. Le sue omelie e la sua lectio erano affacci da
batticuore sull’ultraterreno.
Padre Giusto aveva, nello
sguardo e nei gesti, un’autorevolezza che imponeva a chiunque di trattarlo con
un di più di rispetto. La sua passione per Cristo era assoluta, la sua cultura,
religiosa e non solo, grande (le sue lectio avrebbero meritato di essere tutte
riprese in volume), la sua attenzione si concentrava soprattutto su tre punti:
la pastorale familiare (i corsi per fidanzati da lui organizzati sono ben
antecedenti a quelli poi diventati di norma), la costruzione di una comunità
che operasse come tale (da cui, anche, un’infinità di giornate comunitarie,
pranzi, cene e gite in comune), la visione profetica (fu tra i creatori dei
primi organismi di volontariato internazionale). La sua statura morale, la sua
integrità erano di tutta evidenza. Colpiva, in tanta grandezza, una fragilità
emozionale che, col tempo si accentuò: lui non faceva male a nessuno, ma
chiunque poteva fargliene tanto, con una parola o un gesto di troppo.
Padre Paolo è stato il primo
cappellano di Nisida, quando nel carcere minorile non c’era una cappella e le
prime celebrazioni avvenivano, dove si poteva, nelle aule scolastiche, nel
refettorio. Le prime Prime Comunioni, le prime Cresime le ha preparate lui.
Condividiamo un battesimo: lui come ministro, io come madrina.
Anche don Giovanni l’ho
conosciuto da anziano. Un uomo che aveva già passato lunghi anni a riflettere
sui testi biblici e parlava filtrando le parole attraverso una sapienza rigorosa
e mite. Un uomo di grande discrezione, che nascondeva anche a se stesso la sua
levatura morale e intellettuale, la sua silenziosa capacità d’amare e davanti a
cui era impossibile non avvertire che cosa eccezionale sia una persona davvero libera.
Don Fabio, parroco a Quarto e cappellano di Nisida |
Sono solo alcuni dei
tanti preti alcuni (almeno nel giudizio
possibile dall’esterno) banali, altri
eccezionali, che ho conosciuto nella mia vita,
Mi stupisce che così
pochi scrittori dedichino spazio alle loro vite, alle loro storie. Non solo la
vita di un prete, ma già la sua scelta di diventarlo – soprattutto in tempi e
luoghi come i nostri – sarebbe degna di racconti e romanzi.
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