Sono stata al Museo di
Reggio. La prima volta dopo la sua riapertura totale. È stata una visita di due
ore, troppo breve per una valutazione più complessiva.
(Chi come me ha
frequentato molto il vecchio museo in
anni lontani deve fare i conti anche col rischio di non apprezzare abbastanza
la nuova disposizione perché i ricordi di queste sale sono legati a momenti belli
della sua giovinezza.)
Non è aperta la terrazza
(grande delusione per me); ci sono, ma non sufficientemente visibili le
indicazioni sul miglior percorso (si è naturalmente
indotti a vedere prima il piano terra e poi salire, mentre è meglio partire
dall’alto); la sala dei Bronzi lascia qualche perplessità (non doveva esserci
l’effetto-mare alle pareti?); i pinakes, le mie adorate tavolette di ceramica
che narrano il mito di Persefone sono, con mio disappunto, sparse in varie
sale.
Ma la luce è assoluta,
gli ambienti danno un senso di grande apertura, i reperti dicono che non c’è
una contrada di Reggio che non abbia una storia antica fatta anche di bellezza
e di industriosità.
Un signore, uscendo,
commenta: “La cosa particolare di questo Museo è la gran caciara…” Sarebbe
stato meglio dire che, nel Museo, c’era tanta gente, soprattutto tante
famigliole con bambini anche piccoli, tutti allegri e festosi: un gran bel
vedere e, anche, un piacevole sentire.
La cosa più bella,
emozionante, del nuovo Museo è che non è più, come è stata per qualche tempo, solo la casa dei Bronzi. I Bronzi restano
spettacolari, ma sono uno spettacolo insieme a tanti altri spettacoli. L’Archeologico
di Reggio non ruota intorno a loro, così come il Louvre ne è arricchito, ma non
ruota intorno alla Gioconda.
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