Le meno di duecento, interessantissime,
pagine di Gli anni di Annie Ernaux, edite in Italia da Orma,
sono tante cose insieme:
- -
Un racconto ad alto tasso letterario,
dallo stile limpido, di cartesiana chiarezza, stringato ma non minimalista, pervaso
da un’emozione controllata, le frasi limate, precise, spesso folgoranti nella
loro concisa definizione di un fatto, di un sentimento.
- -Un reportage sociologico, che cataloga i
cambiamenti culturali, i modi di vita, le abitudini quotidiane dal secondo
dopoguerra ad oggi; ricchissimo repertorio delle impressionanti modificazioni
avvenute in questo sessantennio, soprattutto per quanto riguarda la percezione
che le donne hanno di se stesse, il sesso, la religione, i valori di riferimento.
-
- Un piccolo saggio di histoire événementielle, che ripercorre gli eventi mondiali di questi
anni, dall’angolo di visuale francese, a partire, soprattutto, dagli oggetti d’uso,
i libri letti, le musiche ascoltate, i beni acquistati.
E, in più, è un racconto filosofico che cerca, nel
contrappunto dello snodarsi della
vicenda individuale della protagonista (la
stessa autrice, raccontata in terza persona) e di quella collettiva, della
Francia e del mondo, di rispondere a due domande.
La prima riguarda il
fatto che, pur non essendoci, magari, intersezioni tra le due, le modalità di
approccio alla vita da parte del singolo vanno all’unisono con quelle collettive. Non,
certo, in senso deterministico, ma perché tutti, all’interno di un milieu sociale, contemporaneamente
respirano la stessa aria. Così, si è, alla fine della seconda guerra mondiale,
tutti cattolici, e, successivamente, tutti lontani dalla chiesa cattolica; prima,
appassionati e poi disincantati rispetto alla politica e alla sinistra; prima attenti soprattutto ai
propri doveri individuali e
familiari, poi al proprio piacere, avvertito
come il massimo dei doveri.
La seconda riguarda il
punto che più preme all’autrice: nel nostro essere sempre noi stessi, ma sempre
diversi nel tempo da quelli che eravamo, che cosa resta davvero di noi? La memoria, recuperando che cosa eravamo e cosa
siamo diventati, attraverso i diversi passaggi che abbiamo compiuto,
garantisce, più d’ogni altra cosa, la nostra identità. È la memoria che suggella
la nostra appartenenza a noi stessi (nella misura in cui tale appartenenza è
possibile) e ci definisce nella nostra singolarità.
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