C’è
un piccolo monastero in Calabria dove abita un’unica suora, eremita.
Suor
Mirella, facendo rivivere la chiesa di Monserrato, prova a far germogliare un
ramo nuovo dalla vecchia radice, recuperando quel rito greco, in cui la parte ionica
del reggino si è lungamente identificata, prima che il rito latino, a metà del Quattrocento, diventasse la sua unica tradizione religiosa.
Parla
di luce, suor Mirella: la luce che la Genesi racconta promanare da Dio e
attraversare la creazione (non c’è mai, dice, mancanza di luce, la luce
penetra il buio, lo attraversa, anche quando non la vediamo); la luce della
Trasfigurazione, che non è esperienza solo di Cristo, ma quello che ciascuno è
chiamato a vivere.
Icone dipinte da suor Mirella nella chiesa di Monserrato |
Racconta
la sua vita (da Siderno alla docenza alla Sorbona a Gerace), di sua figlia e del
suo nipotino, risponde alle domande degli ospiti, chiede notizie sul loro
lavoro e le loro attività. Parla con tono dolce e parole precise, ascolta con
attenzione accogliente, il corpo raccolto, le mani che si muovono leggere.
Il
discorso spazia su molti temi e si concentra su religione e società, sulla
mancanza di speranza ormai diffusa non solo in Calabria, del permanere in un
Venerdì santo che non si apre alla Resurrezione, in un presente che non sembra
più avere né passato né futuro.
Temi
complessi, svolti senza pesantezza: lievemente. Si sorride spesso, a qualche
battuta si ride.
La cupola della chiesa di Monserrato |
La
stanza è in penombra, una piccola finestra si affaccia sui colori di alcuni
fiori. La luce sembra concentrarsi tutta negli occhi di suor Mirella. Il suo
volto riluce di un’intima lampada.
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