«... questo
treno mi ha spalancato la visione su un mare che ora mi sale dalla pancia e mi
va nel naso per farmi sentire le sue alghe, il suo sale, per farmi stringere la
mano di mio padre nel percorrere la strada per raggiungere la scogliera, orlata
di rovi carichi di more non mature».
«Viaggiamo
su un binario unico, con stop frequenti in stazioni chiuse per consentire il
passaggio dei treni in marcia nella direzione opposta. La linea non è
elettrificata. Lato mare la bellezza ti fulmina, e ti fa secco anche lato monte
con palme, ulivi e agrumi che rincorrono l’Aspromonte per conquistarne i suoi
balzi. Il dramma sono i paesi al lato del binario. Ferri penduli e mattoni
scalcinati, che mi fanno venire in mente una definizione della Calabria che ho
letto da qualche parte e m’è rimasta impressa: il Dio la Calabria la edificò
perfetta ma dentro ai calabresi ci mise un’inquietudine che rischia di essere
una dannazione eterna, gli piantò nel cuore l’Attesa, ma non spiegò di chi o
per cosa. E l’Attesa è diventata il loro Karma. Il non finito calabrese plasma
molto altro che non solo il cemento, ideifica ogni singola azione del calabrese
puro e come fiumara, ad ogni piena ri-inonda la terra. Quello calabrese è un
popolo d’Avvento».
Anche nel
racconto scritto per L’agenda ritrovata,
l’antologia Feltrinelli dedicata a Paolo Borsellino, Gioacchino Criaco scrive frasi d’amore
per la Calabria.
Il mare che sale nella pancia è la
straordinaria trasformazione in parole dell’esperienza che molti calabresi che
vivono fuori cominciano a provare ogni volta che, in treno o in macchina, si
avvicinano al loro luogo di nascita.
Ma la bellezza
dell’orizzonte, quello marino e quello montano, si interrompe davanti ai propri
occhi e non solo per il dramma dei paesi
al lato del binario ma per lo stato, spesso miserevole e in certi casi
orrendo della spiaggia, abbandonata o rapinata, gli scarichi a mare, lo sfregio
su una natura che avrebbe meritato altra cura, altre attenzioni.
E il non-finito
calabrese non ha a che fare con l’attesa, per quanto inquieta e incapace di
oggetto. Contraddice il senso stesso dell’Avvento: che non è vaghezza del
nulla, ma fattiva preparazione di speranza.
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