martedì 11 luglio 2017

La Calabria e la bellezza sfregiata








«... questo treno mi ha spalancato la visione su un mare che ora mi sale dalla pancia e mi va nel naso per farmi sentire le sue alghe, il suo sale, per farmi stringere la mano di mio padre nel percorrere la strada per raggiungere la scogliera, orlata di rovi carichi di more non mature».

«Viaggiamo su un binario unico, con stop frequenti in stazioni chiuse per consentire il passaggio dei treni in marcia nella direzione opposta. La linea non è elettrificata. Lato mare la bellezza ti fulmina, e ti fa secco anche lato monte con palme, ulivi e agrumi che rincorrono l’Aspromonte per conquistarne i suoi balzi. Il dramma sono i paesi al lato del binario. Ferri penduli e mattoni scalcinati, che mi fanno venire in mente una definizione della Calabria che ho letto da qualche parte e m’è rimasta impressa: il Dio la Calabria la edificò perfetta ma dentro ai calabresi ci mise un’inquietudine che rischia di essere una dannazione eterna, gli piantò nel cuore l’Attesa, ma non spiegò di chi o per cosa. E l’Attesa è diventata il loro Karma. Il non finito calabrese plasma molto altro che non solo il cemento, ideifica ogni singola azione del calabrese puro e come fiumara, ad ogni piena ri-inonda la terra. Quello calabrese è un popolo d’Avvento».

Anche nel racconto scritto per L’agenda ritrovata, l’antologia Feltrinelli dedicata a Paolo Borsellino, Gioacchino Criaco scrive frasi d’amore per la Calabria.

Il mare che sale nella pancia è la straordinaria trasformazione in parole dell’esperienza che molti calabresi che vivono fuori cominciano a provare ogni volta che, in treno o in macchina, si avvicinano al loro luogo di nascita.

Ma la bellezza dell’orizzonte, quello marino e quello montano, si interrompe davanti ai propri occhi e non solo per il dramma dei paesi al lato del binario ma per lo stato, spesso miserevole e in certi casi orrendo della spiaggia, abbandonata o rapinata, gli scarichi a mare, lo sfregio su una natura che avrebbe meritato altra cura, altre attenzioni.

E il non-finito calabrese non ha a che fare con l’attesa, per quanto inquieta e incapace di oggetto. Contraddice il senso stesso dell’Avvento: che non è vaghezza del nulla, ma fattiva preparazione di speranza.

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