Come ben
mostra la foto di Nino Ferrara, è in stato di totale abbandono il sito
archeologico da cui provengono le anfore di Occhio, che fanno bella mostra di
sé al MaRC (vedi post precedente).
Quando venne
inaugurato, nella primavera del 2012, così ne scrissi sul mio blog e su Zoomsud:
«Tra i due torrenti Filici,
all’inizio di Occhio, percorrendo la Statale 106 da Pellaro verso Reggio, nel
1975, scavando le fondamenta per costruire una casa, si scoprì una tomba a
camera, con iscrizioni a caratteri greci, con il nome del padrone, dello schiavo
e dell’autore dell’incisione. Fu l’inizio di alcune campagne di scavo, tutte
condotte da Rossella Agostino, che hanno portato al rinvenimento di ambienti
databili al II e III secolo a. C., riconducibili probabilmente ad una necropoli
arcaica – il che direbbe che l’abitato costruito dai primi colonizzatori di
questa parte della Magna Grecia doveva essere collocato più a nord,
nell’attuale Mortara – nonché anfore di tipo protocorinzie e pitecusano, un
gioiello di fattura egizia e una fornace a pianta circolare (è risaputo che
Pellaro, in epoca romana, ha prodotto molti oggetti in ceramica, dalle anfore
alle lucerne). (…)
Ce ne sono
tante, in Calabria, scoperte casuali, come quella del sito archeologico di San
Leo: tracce di un passato che ha disseminato – parrebbe inutilmente – il nostro
territorio di piccoli, grandi tesori, che potrebbero essere anche ricchezza del
presente.
Che questo
piccolo spazio, di grande suggestione incastrato tra palazzotti moderni, i
resti delle campagna e la vicina spiaggia – un gioiellino – sia stato oggi
restituito alla città, con l’inaugurazione ufficiale cui ha preso parte anche
il sindaco Arena è un bel segno. Se si riuscirà a non farle restare pietre che
raccontano solo al vento la storia, sarà un gran bel segno.»
Speranza
del tutto disattesa: il sito è un groviglio sterpaglie: imbavagliato e muto anche
per il vento.
Non
ne usciremo finché di fronte a simili scempi (e, questo, in fondo, rispetto a
tanti, è solo un piccolo scempio) la risposta dei più sarà un’alzata di spalle con a
fior di labbra uno sconfortato e complice Rriggiu
non vindiu mai ranu.
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