La pettinatura se l’era fatta sabato, ma
lunedì tornò per un ritocco. All’epoca, tutti i parrucchieri erano chiusi di
lunedì ma, a mo’ di regalo, le avevano dato un appuntamento speciale.
Poi andarono al ristorante a portare un
cesto con le bomboniere: un garofano rosso, di seta. Uscendo, lei non si
accorse della porta a vetri e ci andò a sbattere contro, per cui, arrivati a
casa, la costrinsero a tenere il ghiaccio in fronte.
Ogni tanto bussava il postino per qualche
telegramma o il fioraio per un mazzo di rose. Arrivò pure una telefonata
dall’arcivescovado di Crotone: mons. Agostino non stava bene, non sarebbe stato
lui a celebrare le nozze.
A pranzo, non toccò più di una pastina.
Non ci mise molto a vestirsi, con la
gonna, la camicetta di lino e lo scialle, fatti tutti da sua madre.
Arrivarono nei pressi della chiesa troppo
presto. Il padre spense il motore e aspettarono un po’, parlando del più e del
meno.
All’ingresso di San Giorgio al Corso, lei
prese un’accelerata tale che lo zio prete le disse di frenare il passo.
Al rinfresco erano in pochi, una cinquantina di persone: una dozzina almeno non sono più tra i vivi.
Al rinfresco erano in pochi, una cinquantina di persone: una dozzina almeno non sono più tra i vivi.
Moltissime cose le ricordo: non solo i
fatti, ma le sfumature d’emozioni che li hanno accompagnati. Altre cose non le
ricordo. Ero intimamente concentrata sulla novità
che stava per iniziare.
E che continua, oggi, da quant’anni.
Sono grata di questi quarant’anni. Con la
felicità in più d’aver legato una data così importante della mia vita personale
alla più bella della storia italiana.
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