Il
Sabato Santo è il giorno della Madre, anzi della Mater dolorosa, ancora più del
Venerdì Santo, quando, morendo, il Figlio le consegna un altro figlio.
È
il giorno in cui sembra tramontata la promessa dell’angelo Gabriele: «Non temere,
Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco
concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e
chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo
padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Ed è il giorno in cui appare ormai realizzata parte della profezia di Simeone
che, alla presentazione del Bambino al Tempio, le aveva annunciato: «… e anche a te una spada trafiggerà l’anima perché siano svelati i
pensieri di molti cuori.»
Il
Sabato Santo è il giorno sospeso. Quello che si vive il giorno dopo una
morte, l’annuncio d’una malattia drammatica, una tragedia: quando, dopo l’urlo
lacerante, si rimane attoniti, senza parole e senza pensieri, in un vuoto che
si mangia ogni futuro. Oppure, quello che si vive il giorno prima nell’attesa
d’un dramma imminente: quando, per esempio, si hanno molti motivi per ritenere che
i risultati d’un’analisi attesa saranno forieri di morte.
È
una sorta di ponte che da una parte si lega alla lacerazione, allo schianto del
cuore e dall’altro si lancia per strade sconosciute, ma, di certo, buie e
tristi: meglio, desolate.
È
il giorno che più di tutti invoca la Pasqua.
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