Ancora
intorno a Silence
È un ottimo
film, Silence, ma non è un
capolavoro. Nonostante gli anni cui ci ha lavorato, Scorsese non è riuscito,
questa volta, come pure ha ottenuto tante altre volte, di esprimersi in una
forma perfetta. Perché questo è un capolavoro, letterario o cinematografico:
che il contenuto sia lieto o triste, morale o immorale, rasserenante o
raccapricciante, deve trovare espressione in una forma perfetta: guanto e mano
devono diventare un’unica, indivisibile, cosa.
Ma, oltre l’indubbio
valore estetico, Silence ha il merito,
straordinario, di far pensare e,
quello, rarissimo in quest’epoca, di porre al centro della sua riflessione, la fede religiosa e, in specie, il senso
del dirsi cristiani.
Scorsese
rende omaggio ai poveri pescatori giapponesi del Seicento che muoiono per non
tradire il loro credo – Cristi in croce sbattuti dalle onde fino ad una fine
crudele – ma sembra voler far passare il messaggio che, almeno in certe
circostanze e all’interno di alcune culture, il riferimento a Cristo deve restare all’interno delle
coscienze, custodito nella profondità dell’intimo come in un inviolabile
sepolcro.
In ben altre circostanze, in una delle
lettere dalla prigionia, Bonhoeffer scriveva che, in una chiesa diventata «incapace
di farsi portatrice della Parola riconciliatrice e redentrice per gli uomini e
per il mondo (…) le parole antiche devono svigorirsi e ammutolire e il nostro
essere cristiani si riduce oggi a due cose: pregare e operare tra gli uomini
secondo giustizia. Ogni pensiero, parola, organizzazione nelle cose del
cristianesimo, dovrà rinascere da questa preghiera e da questa azione. (…) Non
sta a noi predire il giorno – ma il giorno verrà – in cui gli uomini saranno
chiamati a pronunciare la Parola di Dio in modo tale che il mondo ne sarà
trasformato e rinnovato. Sarà un linguaggio nuovo, probabilmente un linguaggio
del tutto non religioso, ma liberatore e redentore, come quello del Cristo.»
Nel film di Scorsese, padre
Rodriguez rinnega la sua fede, convinto di fare così il suo supremo sacrificio
da credente per salvare la vita ad altre persone e poi, per anni, non manifesta
alcun riferimento religioso se non buddista. Ormai cadavere, riappare nel suo
grembo, in un’aurea di luce calda, un piccolo crocefisso, come se, in realtà,
il suo annoso silenzio (specchio del silenzio di Dio) nascondesse un intimo colloquio con Cristo.
Ma la mancanza di
tensione tra l’impossibilità e la necessità (necessità del desiderio)
di pronunciare il nome del Dio cristiano (mi) lascia un senso di inquieta
incompiutezza.
Nessun commento:
Posta un commento