Gelida
mattinata del gennaio più freddo che si ricordi. Temperatura dell’aula più
vicina all’unità che alle due cifre.
Insegnante
bardata con cappello, sciarpe, guanti. Ragazzi infreddoliti: di alcuni, tra i
cappelli calcati sulla fronte e i copri-gola, tirati alla sommità del naso, s’
intravvedono solo gli occhi.
Hanno
poca voglia di leggere; pochissima di scrivere – d’altra parte, le mani sono
gelate e piene di screpolature.
Se
ne stanno addosso ad una stufetta, si potrebbe fare un bel gruppo-braciere e
discutere: scongelare pensieri e sentimenti, riscaldarsi di parole scambiate. Se
avessero un barlume di voglia di parlare di qualcosa di sensato.
E,
invece. Nervosismi a fior di pelle. Battute pesanti l’uno verso l’altro.
Accapigliamenti verbali. Piccole esplosioni di rabbie. Come se alzando i toni
si potessero scacciare via i pensieri che pesano troppo dentro la testa, o il
vuoto che rimbomba.
Qualcuno
sciama, cercando in un’altra aula una pausa al suo disagio, alla sua
insofferenza.
Ogni
apertura di porta è un taglio in più sul petto, sulla schiena.
Rientra
un ragazzo. Bestemmia la Madonna.
L’insegnante
lo riprende duramente.
Un
altro ragazzo, concentrato a rispondere ad una lettera, si alza, il volto
arrossato, urlando: “Non bestemmiare la Madonna, che la Madonna ci aiuta.
Bestemmia a Gesù!”
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