sabato 2 settembre 2017

Cimitero di paese







Per cinquant’anni, quella strada, Maria, l’aveva percorsa solo in macchina. 

Bambina e ragazzina, l’aveva fatta tante volte a piedi. La vecchia Carrubbara, certe volte, sull’asino, insieme a sua nonna Cilla, verso una campagna di cui non ricordava il nome o, attraversato il torrente, verso la putia dei figli della zia Mattia. O in processione per la commemorazione dei defunti, con tanta gente, tra preghiere e canti, partendo dalla chiesa di San Giovanni. C’era stato un tramonto – la suggestione delle candele accese al primo scurirsi dell’aria – che teneva per mano i cuginetti più piccoli e lo zio aveva bisbigliato, tra un’Ave e una Santa Maria, quant’era bella, così, come una giovane madre. Chissà perché conservava questo ricordo e non altri. Come ricordava, di quella campagna per lei senza nome, l’asino che l’aveva afferrata dalla gonna – una gonna nuova, alla moderna che la madre le aveva appena cucito – e l’aveva dondolata un bel po’, incurante delle grida della nonna.

Ora, quella strada, la rifaceva a piedi, in un’alba d’agosto ancora fresca che già preannunciava il faticoso calore del giorno. Sola. E, al cimitero, sola, non c’era mai salita.

La Carrubbara le sembrò più larga d’un tempo e con case, tra il verde, che non c’erano prima. Anche il torrente le sembrò più largo: arido di una stagione senza un filo di pioggia, con pezzi asfaltati dove, le sembrò, passava anche l’autobus. La piazzetta di Fossa di Comi le apparve come la ricordava: uno spazio vuoto, d’un grigio triste. Da lì, la sequela delle case – che, magari, erano state tutte o quasi rinnovate– non aveva niente di diverso: una accanto all’altra, con il muro dell’una che era anche muro dell’altra e una di fronte all’altra – impossibile nascondere ai vicini anche un mal di testa.

Arrivò prima di quanto avesse pensato, alla salita del cimitero, tutta curve, tra mandorli e fichi d’india. Ogni tanto si fermava a guardare il mare, azzurro, e l’orizzonte che si colorava del sole che spuntava dalle opposte colline.

Il cimitero era ancora chiuso. L’affaccio sullo Stretto le riempì gli occhi.

Fece il giro breve, dei parenti più stretti. Tolse i fiori secchi e gettò l’acqua puzzolente dalla cappella dei nonni materni, passò da quella dei suoceri e salì fino alla tomba dei nonni paterni, dove c’era anche suo padre. 

Tutto era quieto e silenzioso. 

Anche lei sarebbe diventata cenere qui, sotto questo cielo e, in lontananza, ma così vicino, questo mare, con il sole che, dalle propaggini dell’Aspromonte, sarebbe sceso, ogni giorno, al di là dell’Etna.

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