Per cinquant’anni, quella strada, Maria, l’aveva
percorsa solo in macchina.
Bambina e ragazzina, l’aveva fatta tante volte a
piedi. La vecchia Carrubbara, certe volte, sull’asino, insieme a sua nonna
Cilla, verso una campagna di cui non ricordava il nome o, attraversato il
torrente, verso la putia dei figli
della zia Mattia. O in processione per la commemorazione dei defunti, con tanta
gente, tra preghiere e canti, partendo dalla chiesa di San Giovanni. C’era
stato un tramonto – la suggestione delle candele accese al primo scurirsi
dell’aria – che teneva per mano i cuginetti più piccoli e lo zio aveva
bisbigliato, tra un’Ave e una Santa Maria, quant’era bella, così, come una
giovane madre. Chissà perché conservava questo ricordo e non altri. Come
ricordava, di quella campagna per lei senza nome, l’asino che l’aveva afferrata
dalla gonna – una gonna nuova, alla
moderna che la madre le aveva appena cucito – e l’aveva dondolata un bel
po’, incurante delle grida della nonna.
Ora, quella strada, la rifaceva a piedi, in un’alba
d’agosto ancora fresca che già preannunciava il faticoso calore del giorno.
Sola. E, al cimitero, sola, non c’era mai salita.
La Carrubbara le sembrò più larga d’un tempo e
con case, tra il verde, che non c’erano prima. Anche il torrente le sembrò più
largo: arido di una stagione senza un filo di pioggia, con pezzi asfaltati
dove, le sembrò, passava anche l’autobus. La piazzetta di Fossa di Comi le
apparve come la ricordava: uno spazio vuoto, d’un grigio triste. Da lì, la
sequela delle case – che, magari, erano state tutte o quasi rinnovate– non
aveva niente di diverso: una accanto all’altra, con il muro dell’una che era
anche muro dell’altra e una di fronte all’altra – impossibile nascondere ai
vicini anche un mal di testa.
Arrivò prima di quanto avesse pensato, alla
salita del cimitero, tutta curve, tra mandorli e fichi d’india. Ogni tanto si
fermava a guardare il mare, azzurro, e l’orizzonte che si colorava del sole che
spuntava dalle opposte colline.
Il cimitero era ancora chiuso. L’affaccio sullo
Stretto le riempì gli occhi.
Fece il giro breve, dei parenti più stretti.
Tolse i fiori secchi e gettò l’acqua puzzolente dalla cappella dei nonni
materni, passò da quella dei suoceri e salì fino alla tomba dei nonni paterni,
dove c’era anche suo padre.
Tutto era quieto e silenzioso.
Anche lei sarebbe diventata cenere qui, sotto
questo cielo e, in lontananza, ma così vicino, questo mare, con il sole che, dalle
propaggini dell’Aspromonte, sarebbe sceso, ogni giorno, al di là dell’Etna.
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