Da mesi, Lucia soffriva d’insonnia. Per
dare una disciplina alla mente in ore che voleva ugualmente restare a letto –
se si alzava, le veniva mal di testa, che poi l’avrebbe accompagnata tutto il
giorno – il sistema migliore che aveva trovato era fissare il pensiero su
questo o quell’evento passato della sua vita. La mattina, poi, mentre faceva
colazione, ne scriveva rapidamente al computer. Ne stava venendo fuori un testo
a due facce: il racconto per uno psicologo, quasi una forma di autoanalisi, e
degli appunti che avrebbe potuto utilizzare per qualche racconto.
Di mestiere, Lucia insegnava, ma le era
capitato di pubblicare in alcune antologie: dalle meno alle più
importanti. Aveva iniziato per caso, ma sempre più spesso le chiedevano
contributi di un certo rilievo.
Anche quella notte l’aveva passata a
ricordare e quell’alba a trascrivere. Con un sentimento avvelenato,
acre e dolciastro, di scoperta: ecco, un nodo irrisolto della sua vita, in cui s’erano
aggrovigliati fili del passato che il futuro non aveva sciolto.
Si chiedeva che fine avessero fatto
persone che, in un modo o nell’altro, a quel ricordo erano legate. Di alcune,
le sfuggiva anche il nome, ma, di altri ,poteva provare a trovar traccia su
internet.
Ne trovò uno e lo scoprì dove l’aveva lasciato: missionario in
Africa.
Di lettura in lettura, nel giro di mezz’ora,
ebbe la sensazione di un cambio di prospettiva. Aveva iniziato a scrivere
pensando di elencare i punti deboli, i mali che ne facevano una persona
incompleta. Ora, le pareva che dalle parole che aveva scritto si poteva
verificare quanto bene le era accaduto. Come, tra tanta zizzania, ci fosse del
buon grano nella sua vita. Forse, bastava allentare le erbacce intorno per
rendersene conto. Per sentire, con grato stupore, che c’erano ancora spighe che
potevano maturare al sole.
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