«Roma mi ricorda Reggio Calabria, e a volte penso
che riesco a sopportarla solo perché arrivo da un posto come quello, un posto
abituato a calpestare diritti e a vederli calpestati, un posto che non crede
nel bene comune, che non ha il senso della collettività, che crede sia lecito
provare a sfangarla in ogni modo, un posto rassegnato, dove chi studia se ne va
e chi resta si adegua, un posto corrotto, soprattutto: sciupato.»
In un post su fb, Rosella Postorino – editor
Einaudi, autrice, tra l’altro di L’estate
che perdemmo dio – per raccontare il poco roseo presente della capitale,
paragona Roma a Reggio Calabria.
Le sue sono parole taglienti e precise:
autentiche.
Reggio e il reggino – che ha luce senza pari,
oasi di stupefacente bellezza, un orizzonte incantato, e abitanti gentili e
sapienti – è anche questo: «un posto abituato a calpestare diritti e a vederli
calpestati, un posto che non crede nel bene comune, che non ha il senso della collettività,
che crede sia lecito provare a sfangarla in ogni modo, un posto rassegnato,
dove chi studia se ne va e chi resta si adegua, un posto corrotto, soprattutto:
sciupato.»
Parafrasando il bellissimo Quel che resta di Vito Teti,
solo partendo da questo dato di fatto, dalla contraddittoria, affaticante e
spesso insopportabile, mescolanza di bellezza e rovine (paesaggistiche, ma soprattutto
morali, mentali: umane), si può
ipotizzare che la Calabria (e non solo) abbia un futuro che non sia accumulo di
altre lacerazioni, di altri disastri.
Per chi quella terra la ama,è un po' l’invito a passare dalla
rabbia impotente per quello che è al
costante esercizio morale e civile della nostalgia (pensiero e azione) di quello che potrebbe essere.
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