Il matrimonio era durato non più di tre
anni, il tempo che le gemelle iniziassero l’asilo. Poi, Clelia e Giuseppe erano
rimasti insieme per le figlie. Lei, dedicandosi soprattutto a loro; lui,
passando, senza impegno, di storia in storia. Di tanto in tanto, Clelia gliene
chiedeva conto, piangeva, tornava a casa dei suoi. Lui negava, l’andava a
riprendere, la coccolava e tutto ricominciava.
Quando le gemelle, dopo la maturità, si
iscrissero, in due facoltà diverse, in un’altra città – Clelia, all’ennesima distrazione di Giuseppe, lo cacciò di
casa: Basta, è ora che tu scelga.
E, lui, che a Roberta si stava legando
come mai gli era accaduto, scelse. In meno di una settimana si trasferì nella
casa, ereditata da poco, dei suoi e qualche mese dopo, Roberta andò a vivere
con lui.
Clelia, che aveva sempre sperato nella
sceneggiata di sempre, fece fatica ad accettare che, stavolta, pareva proprio
finita.
Per settimane inseguì Roberta, con la
fantasia di buttarle in faccia il veleno che la bruciava. Quando la vide,
rimase discosta e senza parole. A toglierle il fiato non era stata la
giovinezza e neppure la bellezza della sua nemica, ma la felicità che le brillava
negli occhi e sembrava farla camminare dentro una nuvola rosata.
Forse, la felicità era destinata solo alle
donne belle e cattive. Lei, bella non si vedeva e cattiva non era. Si sentì
perduta. Sprofondò nel gorgo di malesseri psicosomatici, perse peso, si isolò.
Arrivata al punto che la vita le sembrava
ormai tutta alle spalle, cominciò a riprendersi. Prima inavvertitamente, poi
con consapevolezza.
Scoprì d’essere diventata due persone
separate. Quella che si mostrava fuori, di nuovo sorridente, socievole,
garbata. E quella che, dentro, continuava ad essere rosa da una rabbia che
avrebbe trovato pace, forse, solo con la scomparsa, o la distruzione, di Roberta.
Quanto al marito, avrebbe voluto bastonarlo a sangue, ma non farlo scomparire o
distruggere perché, nonostante tutto, nel fondo più fondo di lei, permaneva un anelito.
Di che? Non se lo diceva, un po’ per vergogna, un po’ per scaramanzia.
Stanca dei consigli di parenti e amiche,
Clelia trovò un compagno solidale nel silenzio del mare. Ogni giorno, uscendo
dal lavoro, si allungava, in macchina, fino ad una spiaggia solitaria.
Camminare al ritmo delle onde che si frangevano sulla riva, con all’orizzonte
le montagne siciliane, la svuotava di rancori e rimpianti e la ancorava al
presente.
Si diede un compito, che le avrebbe
occupato molto tempo: esercizi di grammatica interiore: allenarsi ad una buona
declinazione della solitudine.
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