Il mare non si vedeva eppure era come se
fossero sulla spiaggia.
Don Sciau aveva una settantina d’anni e
stava provando ad aggiustare una perdita d’acqua che chissà da dove partiva
perché l’acqua scendeva a catinelle dal tetto d’una stanza costruita su un
terrazzino. E, forse, scorreva anche da un’altra parte della casa.
Prima, c’era la campagna, i viottoli con l’erba
fitta, le spine, i gialli, i viola, i lilla di fiori di campo dai nomi
sconosciuti, il venticello piacevole dell’estate.
Caterina li scendeva vestita in maniera
improbabile, con una camiciola impalpabile, fiorato, trasparente, sui jeans troppo
caldi e si chiedeva come avesse potuto portarsi così poche cose, da casa, per
una vacanza così lunga. Ma non era arrabbiata, anzi le veniva da sorridere di
sé, bonariamente.
Aveva superato i cinquanta e se ne sentiva
addosso una ventina.
Ora stavano lì, sul terrazzino. “Per
stasera – disse don Sciau – è meglio lasciar perdere. Scorrerà acqua, pazienza.
Domani mattina ci riprovo. Adesso, ti volevo parlare della barca. Sai, la
spiaggia intorno...”
La luce era quella del mare, dolce e azzurra,
e la barca apparve dipinta ad acquarello, con la sabbia dorata sotto gli ultimi
raggi del sole.
La sveglia suonò e Caterina non si svegliò.
Suo padre era morto da dieci anni e le
capitava così di rado di sognarlo.
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