«All’inizio
non ci avevamo creduto, perché si sa che alla gente di chiesa piace
spettegolare. (…) tutti i buoni segreti hanno un sapore, prima di essere
raccontati, e se avessimo aspettato solo un istante, giusto il tempo di
assaggiarlo, avremmo sentito l’asprezza del segreto acerbo, raccolto troppo
presto, rubato e passato di bocca in bocca non ancora maturo. E invece no.
Rivelammo subito questo segreto aspro, un segreto iniziato la primavera in cui
Nadia Turner si fece mettere incinta dal figlio del pastore e andò a risolvere
la questione in una clinica di aborti giù in città.»
Nadia Turner, «diciassettenne bella, anzi bellissima,
con la carnagione ambrata, lunghi capelli che sembravano seta, e occhi
screziati di marrone, di grigio e oro», orfana di una madre che si è suicidata
due mesi prima, abortisce il figlio frutto della sua relazione con Luke
Sheppard, 21 anni, una promettente carriera nel football stroncata da un
incidente di gara, che «serviva ai tavoli del Fat Charlie’s Seafood Shack, un
ristorante vicino al molo rinomato per il cibo fresco.»
L’aborto segnerà le loro vite e
influenzerà anche quella di Aubrey Evans, la ragazza che Luke sposerà. «Alla
nostra età ne avevamo visti tanti di matrimoni, a dire il vero anche troppi.
Matrimoni così noiosi che per poco non ci eravamo addormentate prima ancora che
il ministro iniziasse l’omelia (… ) Ma questo matrimonio riaccese in noi la
speranza. (… ) In lei (in Aubry, ndr)
rivedevamo noi stesse, o comunque quelle che eravamo state, o comunque quelle
che eravamo state un tempo. Ragazze che avevano percepito la scintilla iniziale
di un amore lento.»
Le loro vicende – ed è questa la
particolarità di Le madri di Brett
Bennet, Giunti editore – è narrata da una sorta di coro greco costituito dalle
donne che vivono gran parte della esistenza all’interno della congregazione
della Upper Room Chapel, guidata dal padre di Luke.
«Abbiamo
provato ad amarlo, questo mondo. Abbiamo cercato di tenerlo pulito, abbiamo
spazzato i pavimenti dei suoi ospedali, stirato le sue camicie, sudato nelle
sue cucine e servito pasti nelle sue mense, assistito i suoi malati e accudito
i suoi bambini. Ma il mondo non ci ha voluto, e così ce ne siamo andate e
abbiamo donato il nostro amore alla Upper Room. (…) Non andiamo quasi più da
nessuna parte, tranne che alla Upper Room. Abbiamo visto cos’ha da offrire
questo mondo. Abbiamo paura di ciò che vuole.»
Organizzano attività caritatevoli e,
soprattutto, pregano: «Non incessantemente, come esorta a fare san Paolo, ma quanto
basta. La domenica e il mercoledì ci raccogliamo nella sala della preghiera, ci
togliamo giacche e cappotti, lasciamo le scarpe fuori dalla porta e ci muoviamo
a piedi nudi, scivolando un po’ per via dei collant, come bambine che giocano
su pavimenti lucidati di fresco. Ci sediamo su sedie bianche disposte a cerchio
al centro della stanza e una di noi infila la mano nell’urna di legno accanto
alla porta, piena zeppa di bigliettini con su scritte le intenzioni di
preghiera. E poi cominciamo a pregare. (…) noi non ci consideriamo un “esercito
della preghiera”. Dev’essere stato un uomo, a inventarsi quella definizione –
gli uomini pensano che se una cosa è difficile deve avere per forza a che fare
con la guerra. Ma la preghiera è più delicata di un combattimento, soprattutto
la preghiera di intercessione. Più che una semplice idea astratta, si tratta di
caricarsi sulle spalle il fardello di un’altra persona, spesso di qualcuno che
neanche si conosce. Chiudi gli occhi e ascolti l’intenzione. Poi devi scivolare
dentro di loro, nei loro corpi. (…) Se non diventi loro, anche solo per un
secondo, la preghiera non sarà altro che parole.»
Hanno accumulato molte esperienze di vita: «Se
avessimo messo insieme la lunghezza delle nostre vite, saremmo risalite fino a
prima della Depressione della Guerra Civile, persino dell’America stessa. In
tutto quel vivere, ne abbiamo conosciuti di uomini. Oh, ragazza mia, abbiamo
conosciuto anche qualche briciola d’amore. Quella briciola è come la goccia di
miele che resta sul fondo del barattolo e ti addolcisce la bocca quanto basta a
placare la fame. Ci siamo leccate i denti per gustare quell’ultima goccia il
più a lungo possibile, e in quel nostro vivere, niente ci ha fatto sentire così
affamate.» «Siamo
state ragazze, un tempo. Per quanto possa sembrare incredibile. Oh, adesso mica
si vede – i nostri corpi si sono allargati e afflosciati, faccia e collo
ricadono flaccidi all’ingiù. È così che succede quando si invecchia. Ogni parte
di te crolla, come se il tuo corpo si stesse avvicinando al posto da dove
proviene e dove alla fine tornerà. Ma siamo state ragazze, un tempo, il che
significa che abbiamo tutte amato un uomo di merda. Non c’è modo più cristiano
per dirlo. Esistono due tipi di uomini al mondo: quelli veri e quelli di merda.»
Per questo, «se Nadia Turne ce l’avesse chiesto, le
avremmo detto di stargli alla larga. Lo sanno tutti, cosa si dice dei figli dei
pastori. (…) Luke Sheppard, spavaldo e sfrontato, con i suoi riccioli sottili,
le spalle modellate dal football e il sorriso strabico. Oh, chiunque di noi le
avrebbe detto di stargli alla larga.»
Quando cominciano a capire che cosa Nadia
nasconde cominciano a diffondere il suo segreto per l’intera comunità.
«È
stato solo dopo, a distanza di anni da quella prima voce a cui non avevamo
creduto, che siamo riuscite a ricomporre i pezzi. Prima Betty dice che
stranamente Nadia non si era mai offerta volontaria per stare con i bambini,
neanche quando seguiva Aubrey Evans come un’ombra (…). L’ho capito subito,
aggiunge (Agnes, ndr) ogni volta che si parla di Nadia Turner, l’ho capito
appena l’ho vista. Riconoscerei tra mille una ragazza che ha abortito. Dopo che
un segreto è stato svelato, tutti diventano profeti.» «In principio era il verbo, e fu il
verbo a mettere la parola fine. La notizia si diffuse in neanche due giorni,
grazie a Betty. In seguito ci disse che non era stata sua intenzione fare del
male a nessuno. Sì, certo, aveva spifferato in giro informazioni personali e
private, ma solo perché non si era resa conto di quanto fossero personali e
private.» «La
giovane Turner e il suo bambino indesiderato. Per giorni non riuscimmo a
pensare ad altro che a quello, e anche se avevamo promesso di tenerci il
segreto per noi, la verità trapelò ugualmente. In seguito ci incolpammo l’un
l’altra, ma non riuscimmo a individuare chi era stata quella con la lingua più lunga.
(…) In un modo o nell’altro eravamo tutte colpevoli, il che ci rendeva in
realtà tutte innocenti.»
La diffusione del segreto ha un effetto
devastante per la congregazione e, alla fine la Upper Room finisce col
chiudere.
Ma le madri non dimenticano Nadia: «… pensiamo
ancora a lei. (…) Ormai ha l’età di sua madre. Il doppio di quell’età. Ha la
nostra età. Sei nostra madre, Nadia. Ti cresciamo dentro.»
Le madri di Brett Bennet è
un romanzo potente. L’autrice ha venticinque anni: non ci vuole molto a
prevedere che sentiremo parlare molto di lei.
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