«Come potrei essere razzista proprio io
che sono nato in quello che una volta era il paese più a sud dello Stivale? Un
paese che ora non esiste più. Si chiamava Melito di Porto Salvo, provincia di
Reggio Calabria, città metropolitana. La burocrazia lo abbrevia in Melito PS.
Oggi al suo posto sulla mappa satellitare Agraview c’è il Mar Mediterraneo che
si infrange sulle scogliere dell’Aspromonte. Nella baia l’acqua è satura di
sale e i percolati da discarica, i solventi organici alogenati e i residui di
isolanti al PCB hanno causato l’estinzione di pescispada e costardelle.» Nulla
è più come quando «mi affacciavo sul mare a fissare lo stretto di Messina,
mentre i gabbiani riempivano di traiettorie il cielo. Era uno scenario diafano,
una dimensione di spazio illimitato.» Ed è passato da molto il tempo delle
«scampagnate con la famiglia. Mia madre preparava enormi teglie di pasta al
forno per tutti i parenti. (…) Le destinazioni erano i paesini sul mare o la frescura
delle colline calabresi. Era il secolo scorso. Ma sembra un tempo ancora più
remoto. Una vita fa.»
Nell’agosto del 2019, Milo Strati
raggiunge finalmente la capitale della Germania: «Sono qui stremato, la terra
sotto il culo, i piedi gonfi e Berlino lì davanti a me. Ho camminato per quasi
ottanta chilometri pur di raggiungerla. L’ultima tranche del mio viaggio di
oltre duemila chilometri. La città dove ricominciare, la terra che mi sono
promesso per sopravvivere.»
Ha lasciato un’Italia alla deriva, preda
«di saccheggi, di fame, di bande di strada» – «in Calabria le condizioni sono
drammatiche, (…) l’ecosistema costiero è al collasso, alcuni paesi sono stati
risucchiati da mare. Gli sciacalli non guardano in faccia nessuno; occupazioni,
violenze, esecuzioni sono all’ordine del giorno.» – ma non meno grave è la
situazione del resto dell’Europa.
Solo la Germania ha una certa organizzazione sociale, pur mantenuta a prezzo di una impenetrabile linea fortificata, la Barriera, all’interno della quale ci si può muovere liberamente solo avendo un tatuaggio all’altezza del polso, un identity matrix, con registrati tutti i dati personali: «Meglio clandestino qua, che libero laggiù.»
Solo la Germania ha una certa organizzazione sociale, pur mantenuta a prezzo di una impenetrabile linea fortificata, la Barriera, all’interno della quale ci si può muovere liberamente solo avendo un tatuaggio all’altezza del polso, un identity matrix, con registrati tutti i dati personali: «Meglio clandestino qua, che libero laggiù.»
Clandestino, Milo spera che un suo vecchio
amico, Nils, gli possa fornire un rapido trapianto d’identità, ma Nils scompare
rapidamente e così la sorella Franziska. È per questo che Milo intraprende una
difficile ricerca chiedendo l’aiuto di Flora, la compagna di Franziska, che
cerca nella pratica buddista la pace interiore: «Sono scappato dalla povertà e
dalla guerra. Non riuscirei a sopravvivere se tornassi indietro. E non sarei
partito, se fossi riuscito a sopravvivere in Italia. Ti sto chiedendo di
aiutarmi. Quale personale visione dell’umanità ti impedisce di farlo?» A loro
si aggiunge Dieter, poliziotto, uno dei pochi funzionari non corrotti della
città.
La
Barriera di
Vins Gallico – (calabrese; già autore, tra l’altro, di Portami rispetto,
libro di ambientato a Reggio Calabria, città che tornerà nel suo prossimo
libro, che dovrebbe essere pubblicato in autunno) – e Fabio Lucaferri,
recentemente edito da Fandango, è un romanzo di atmosfere da day after.
Intriso degli orrori del passato
(esemplare, il marchio sul braccio), prefigura quelli del futuro, già
ampiamente disseminati nel presente, dall’impoverirsi delle relazioni alla
riproduzione consentita solo attraverso l’inseminazione artificiale, dalla
tecnologia senz’anima, all’innalzamento delle frontiere e al respingimento
violento degli altri: un mondo sotto una cappa di tristezza e di vuoto
Contro la profezia della fine della civiltà occidentale e, ancora di più, dei valori essenziali dell’umanità – che ha non pochi motivi per potersi realizzare – il libro si chiude con il respiro di sollievo della speranza: «La Barriera è aperta. Un fiume nero di corpi, denso e lento, trapassa la frontiera in decine e decine di punti diversi. Un getto umano prorompente che si nebulizza in migliaia di singoli atomi appena al di qua del muro. (…) Le famiglie procedono tenendosi per mano, alcuni ridono, altri hanno un’espressione impaurita che nasconde incredulità ed euforia. (…) Presto saranno qui e si prenderanno quello di cui hanno bisogno. Tutto ciò di cui sono stati finora privati.»
Contro la profezia della fine della civiltà occidentale e, ancora di più, dei valori essenziali dell’umanità – che ha non pochi motivi per potersi realizzare – il libro si chiude con il respiro di sollievo della speranza: «La Barriera è aperta. Un fiume nero di corpi, denso e lento, trapassa la frontiera in decine e decine di punti diversi. Un getto umano prorompente che si nebulizza in migliaia di singoli atomi appena al di qua del muro. (…) Le famiglie procedono tenendosi per mano, alcuni ridono, altri hanno un’espressione impaurita che nasconde incredulità ed euforia. (…) Presto saranno qui e si prenderanno quello di cui hanno bisogno. Tutto ciò di cui sono stati finora privati.»
Milo, che lavorava «molto come ghost-witer.
Compilavo romanzi per nomi famosi. Quelli ci mettevano la firma e i loro libri
si vendevano più o meno bene», trova la voglia «di scrivere per me, senza
prestare la mia manodopera a nessuno. Di scrivere senza parlare di spie, di
intrecci mafiosi, di autobiografie celebri, di cocaina e di figa, di commissari
ubriaconi. Ho raccontato la storia di Souleyamane, la vicenda più reale nella
quale mi sia mai imbattuto. Una vicenda come quella di milioni di uomini e
donne in viaggio. (…) Non so come faremo a vivere, ma in qualche modo faremo.
In fondo è quello che abbiamo fatto finora. Farcela.»
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