Ad Andrea, Valentina, Antonio e a tutti i ragazzi dell'IC Cassiodoro-don Bosco
Domi, lo conosco da
due mesi. Mio fratello Alfredo un giorno se n’è tornato da scuola con un
racconto da imparare a memoria. Lo doveva recitare al secondo incontro con
l’autore del progetto lettura e mi ha chiesto di stare a sentirlo. Alfredo sta in seconda media – io frequento
la prima – e, anche se lui dice che siamo bravi uguali, la più brava sono io. Mi
supera, di poco, solo in matematica e nel fare i compiti è più veloce di me, ma
io sono più attenta e precisa. Di pomeriggio, due volte la settimana, faccio
danza. Lui vorrebbe fare nuoto, ma la piscina non c’è. Va forte in bicicletta, fa
il centravanti nella squadra della parrocchia e sa fare il cappio per tirare le
lucertole al sole. Ci litigo sempre per questa cosa brutta, ma poi ci passo sopra:
è così buffo con la frangetta troppo lunga che allontana dall’occhio sinistro
soffiando a gote piene.
Abbiamo una stanza in comune, con due
copriletto uguali, gialli, il suo stampato a macchine, il mio a gatti. Alla sua
parete, ci ha messo poster di calciatori. Sulla mia, c’è il mio nome, Giulia,
scritto con fiori di carta, ma sembrano seta, di tanti colori. La nostra casa
sta nella piazza della stazione di Pellaro che, poi, è una stazione strana
perché i treni, pochi, passano, ma non se ne ferma quasi nessuno.
Mia mamma fa l’infermiera all’ospedale a
Reggio, sta nel reparto maternità e porta spesso confetti rosa o azzurri, che
in famiglia non piacciono a nessuno: perciò li raccoglie e li dà a Tota, quando
viene a fare qualche pulizia straordinaria.
Mio padre è carabiniere e, per andare in
caserma, deve fare solo pochi passi a piedi. I genitori di mio padre stanno a Catanzaro
e ci vediamo di tanto in tanto, quelli di mia madre stanno nella salita della scuola
elementare e li vedo tutti i giorni. Anzi, li vedevo, adesso mio padre non vuole
che stiamo sempre là. Il fatto è che la sorella del marito di zia Lucia (zia
Lucia è la sorella di mia madre), s’era fidanzata con un tipo del Ribergo. A
mio padre non è mai piaciuto, ma tutti gli altri dicevano: è un lavoratore, ha il
mestiere in mano e una casa di proprietà, finalmente Antonietta si sistema, che
non è neppure tanto giovane. Avevano quasi deciso la data delle nozze, quando
Saverio è stato arrestato per associazione ‘ndranghetista. Deve farsi più di
dieci anni di carcere. Antonietta certi giorni sembra tranquilla e dice che l’aspetterà
e certi altri non dice niente, ma le si scuriscono gli occhi e le labbra
sembrano affondare nei denti.
Domi è il protagonista
del racconto. Non assomiglia né a me né a mio fratello, eppure, mentre mio
fratello ripeteva, mi è sembrato di ascoltare qualcosa di me. L’ho riletto
tante volte e sono voluta andare anche all’incontro con l’autore, un signore
con pochi capelli e la barba quasi bianca, ma la voce e gli occhi giovani.
E, allora, ho capito perché m’ha tanto
impressionato. È che tutte le storie che ho letto finora – e a me i libri
piacciono e ne leggo pure tanti – sono ambientate lontano, in paesi stranieri,
oppure in Italia, ma non nella mia regione e tantomeno nel mio quartiere. M’ero
convinta che, dove abitiamo noi, non ci sono storie abbastanza interessanti da
metterle in un libro e che è per questo che, forse davvero, siamo un po’
inferiori.
Da quando Domi è diventato mio amico, ho tirato fuori un quaderno di quelli
doppi e ho cominciato ad appuntare tutte le storie del paese di cui sento
parlare. Ce ne sono tante. Non manca proprio niente: gialli, horror, storie
d’amore e d’avventura. A metterle tutte nei libri, queste storie speciali, non
basterebbe neppure una biblioteca (che non c’è).
E, poi, ci sono tante piccole storie
normali. Come quella di Domi. Come la
mia. Che basta scriverle per non perderle più.
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