“Non s’è ancora svegliata,
signora Anna. Forse perché ieri ha parlato tutto il giorno e voleva alzarsi,
diceva che c’erano tante cose da sbrigare. Da un po’ fa così. Un giorno parla,
parla e il giorno dopo dorme, dorme”.
“Aspetto un po’, Zhena, vediamo
se nonnina si sveglia”.
Quando tornava al paese
per la vacanze estive, Anna passava a trovare la prozia almeno due volte la
settimana. Sorella di suo nonno, ormai vecchissima, era l’unica parente stretta
che le era rimasta. Zhena era la badante seconda, stava lì da una decina di
mesi come aiuto della badante principale, Agneszkia, che ormai da anni era la
vera padrona di casa.
“Venite di là che vi
faccio un caffè”.
La cucina era piccola e
linda. Le tapparelle abbassate smorzavano la luce, dando un senso di intimità.
Zhena era snella e aveva
mani eleganti, gli occhi azzurri e i capelli di un biondo slavato. Il suo
italiano era buono – aveva superato gli esami della prefettura con il massimo e
ne era orgogliosa – e il tono della voce dolce. Portava un vestitino blu appena
svasato; la scollatura metteva in evidenza seni morbidi e tondeggianti.
“Com’è che sei finita
qui?” Chiese Anna.
“Qui, dalla nonnina?”
“No, qui, in questo paese.”
“Ah, sono quindici anni
che sto in Italia. Sono venuta come turista a casa di una mia cugina a I… e tre
giorni dopo già lavoravo. Sono stata un anno e mezzo da una signora, non
conoscevo la lingua, mi sembrava di uscire pazza. Ma ho resistito, la mia
famiglia in Ucraina aveva bisogno di soldi. Poi mi sono trasferita a S., da
un’altra cugina. Ho lavorato da un’altra signora, molto buona, mi voleva
mettere a posto, ma aveva solo i soldi della pensione, mi ha proposto di
pagarmi io le marche, ma io non potevo, dovevo mandare i soldi al paese. A casa
della signora frequentavano persone per bene, un avvocato mi portò a R. da sua
madre, sono stata con lei per due anni, finché la signora è morta. In quella
casa ho conosciuto mio marito, è italiano. Fa l’idraulico, era venuto ad
aggiustare il lavello della cucina, ci siamo conosciuti così. Lui voleva che
andassi a vivere con lui, io non mi fidavo: e se poi mi lasciava? Ma undici
anni fa ci siamo sposati e siamo venuti a vivere in questo paese. Prima ho
lavorato dalla famiglia S., sapete quella vicina alla chiesa vecchia fino a
quando la nonna è morta, poi dalla famiglia N., vicino alla stazione, quando la
nonna è morta sono stata d., quelli della pescheria, una cosa terribile, la
signora era giovane e malata, lei soffriva di tumore e io andavo continuamente dal
medico perché mi pareva di essere piena di dolori anch’io. E poi sono stata dal
signor L., che mi è morto tra le braccia, mentre gli davo il primo cucchiaio di
pastina.”
“…Na…Na”.
La voce che chiamava era flebile, ma insistente.
“Vengo subito, nonnina”.
La vecchia signora,
piccola nel letto matrimoniale, la camicia da notte bianca che si confondeva
col lenzuolo bianco, sorrise vedendo Anna.
“Nonnina, ti preparo subito
la colazione”, disse Zhena, andando verso la cucina.
Anna rimase seduta
accanto alla prozia finché Zhena tornò con una zuppa di latte e biscotti.
“S’è fatto tardi, devo
andare. Passo un altro giorno a salutarti”.
Tornò a casa camminando
in fretta, con un groppo in gola.
Desiderò che Zhena si
pensasse non come dolce accompagnatrice alla morte, ma come una che alla morte
provava a strappare giorni, o almeno ore. Finché possibile.
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