Anna chiuse il kindle e
lo poggiò sul tavolo. Leggeva da circa un’ora, distrattamente, di tanto in
tanto gli occhi le si chiudevano e non ricordava quasi niente di quello che
aveva letto.
Fin da quando ne aveva
scorso una recensione entusiastica, aveva pensato che quel libro non le sarebbe
piaciuto. Ma, dopo averne letto un’altra e un’altra ancora, le era sembrato
impossibile sottrarsi a quella sorta di obbligo da cui si sentiva presa,
sempre, di non poter ignorare un libro di cui tanto si parlava.
Il libro, però, non le
piaceva. Forse era ben scritto, originale nella trama e di stile particolare e
cristallino. Ma non la colpiva, le parole le scivolano via, si smarrivano nella
mente, perdeva in un niente frasi e personaggi e non li recuperava anche quando
si costringeva a tornare indietro a rileggere.
Dall’adolescenza in poi
aveva letto sempre, continuamente. I libri erano stati la sua vita e la sua
morte, il suo essere nel mondo e il suo esilio, la ricchezza della sua povertà.
Le avevano aperto mondi, sviluppato idee, affinato sensibilità. Avevano
tamponato e, in parte, nascosto una solitudine irrimediabile. Ai margini della
vita, i libri erano stati come i giornali che, pur non dando il calore vero
d’una buona coperta, impediscono ai clochard di morire congelati.
Invecchiando, leggeva con
avidità meno disperata, c’erano ore, giorni, in cui neppure fingeva d’essere
occupata a leggere. A pensarci bene, anche da giovane, c’erano libri che
l’annoiavano, ma li leggeva comunque. O, perlomeno, fingeva di leggerli: li
scorreva rapidamente saltando interi capitoli, ma riusciva a coglierne il senso
complessivo, a parlarne come se li avesse approfonditi. Forse, era per quel
modo compulsivo di leggere che di trame ne ricordava davvero poche.
Ora, se si annoiava di
fronte ad un proclamato capolavoro, se lo diceva chiaramente. Magari ci
riprovava a leggerlo o lo abbandonava, così come le dicevano muscoli, tendini e
respiro.
I tanti muri alzati dai
libri avevano costruito la sua casa. Grande e piccola. Bella e brutta. Ricca e
povera. Non ne aveva nessun’altra.
Quelle che ciascuno vive con i libri, sono storie strettamente personali, irripetibili, esclusive. Ogni singolo libro è molto più che "uno e trino", è una moltiplicazione infinita. Ripenso, per analogia, alla massima attribuita a Eraclito...
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