Lasciato alle spalle il
centro della città, si comincia a salire per curve che attraversano una vallata
di bellezza travolgente. La macchina va, ne incontri non più di due o tre in
senso contrario, il cellulare non ha più campo, (il che ti sgomenta, perché fa
un po’ impressione sentirsi potenzialmente persi ad ogni contatto), continui a
salire, nel verde, tra cielo e mare.
Quando arrivi, la bellezza ti fa mancare
il fiato: per l’affaccio sullo Stretto, la Sicilia e la Calabria che quasi si
toccano in un mare così immobile che quasi non appare liquido, sembra dipinto
e per questo monastero di clausura che ha poco più di dieci anni (in questa
sede; è stato costituito a Reggio a metà del 700), ma sembra antico, meglio:
fuori dal tempo, semplice, austero, essenziale. C’è musica in chiesa: Mozart,
Pergolesi, Hendel, al di là della grata scorre veloce il velo d’una suora,
tutto è impregnato di silenzio.
Mi viene da pensare che in un mondo che
considera ormai superfluo il cristianesimo, un reperto inutile d’altri tempi, i
cristiani potrebbero (dovrebbero?) ricominciare da tutta l’infinita bellezza
(musica, pittura, poesia) con cui hanno irrorato i secoli.
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