«Nelle prime ore di lunedì 8 luglio 1895
Robert e Nathaniel Coombes si vestirono, scesero di sotto a prendere il
libretto dell’affitto e uscirono nel cortile posteriore. Erano appena passate
le sei ma la giornata era già calda e luminosa. Robert aveva tredici anni e
Nattie dodici. Venerdì il padre, capo cambusiere, si era imbarcato su un
piroscafo diretto a New York lasciandoli a casa insieme alla madre, Emily.
Abitavano in una casetta a schiera in mattoni chiari costruita di recente, al
35 di Cave Road, Plaistow, un quartiere proletario povero ma rispettabile nella
zona di West Ham, il distretto più grande della zona portuale di Est London.»
Dieci giorni dopo, quando ormai la puzza
riempiva la casa, Robert raccontò alla zia la sua verità: «Sabato la mamma ha bastonato Nattie perché aveva
rubato del cibo (…) e ha detto: “Bastonerò anche te”. Nattie ha detto:
“L’ammazzo. No, io non ce la posso fare, Bob, puoi farlo tu? Farò due colpi di
tosse: quello sarà il segnale e tu l’ammazzerai”. E così ho fatto.»
Il processo venne seguito con estrema
attenzione dalla pubblica opinione: «… le copie andavano a ruba con la stessa
rapidità di quando i giornali riportavano aggiornamenti su una crisi politica,
una guerra o un importante evento sportivo. A Islington, nella zona nord di
Londra, un candelaio vendeva modellini di cera delle teste dei fratelli Combes
e di John Fox, che venivano acquistati da attori e intrattenitori. Al di là del
Tamigi, sulla riva sud, un teatro popolare mise in scena un melodramma
sull’omicidio. La storia del crimine di Robert Coombes era già stata pubblicata
in tutto il paese, illustrata da artisti e adattata per il palcoscenico.»
In Il
ragazzo cattivo, Kate Summerscale ricostruisce gli eventi con meticolosa
precisione come un investigatore che mette insieme frammento dopo frammento,
scandagliando ogni fatto da più prospettive.
Ne deriva un libro che è, insieme, una coinvolgente
storia vera (notevole l’apparato bibliografico e fotografico), un attento
saggio storico-sociale, un giallo che, nonostante il colpevole sia presto
individuato, tiene avvinto il lettore, e un romanzo di formazione che va da
un’adolescenza perduta ad un’onesta e addirittura eroica maturità.
Attenta e sensibile la ricerca dei fattori
sociali, delle dinamiche familiari e degli aspetti psicologici che possano
illuminare gli eventi.
Avvincente la ricostruzione del dibattito
in tribunale e sui giornali, in particolare quello sulla grande diffusione,
intorno al 1890, dei penny dreadfuls, o
penny bloods, («Ogni settimana si vendeva
più di un milione di copie di periodici per ragazzi, e ad acquistarli erano
soprattutto i figli della classe lavoratrice che avevano imparato a leggere nei
collegi statali fondati nei venti anni precedenti.») considerati forieri di
atteggiamenti ribelli e depravati.
Intenso il racconto degli anni passati a
Broadmoor, una sorta di carcere per malati di mente, soprannominato paradiso degli assassini, per l’accudimento
rispettoso che vi si operava: «Il personale di Broadmoor non usava mezzi di
contenimento, come camicie di forza e ceppi; nell’edificio non era presente
nemmeno una cella imbottita. Se un paziente diventava ingestibile il guardiano
doveva chiamare aiuto e poi cercare, con il supporto dei colleghi, di
trattenerlo finché non si fosse calmato. Se era inevitabile lo scontro fisico,
i guardiani sapevano che non dovevano mai immobilizzare un paziente a terra, né
torcergli braccia o gambe. Le regole del manicomio prevedevano che la
gentilezza e pazienza fossero le virtù cardinali da applicare con i pazienti. I
farmaci erano usati con parsimonia: ogni tanto impiegavano la morfina come
sedativo e il brandy come tonico. Le uniche terapie erano un ambiente
tranquillo, un personale controllato e orari regolari.»
A Broadmoor, Robert «lavorava nel
laboratorio di sartoria, in un edificio tripartito dietro l’ingresso centrale. Tra
l’odore del crine di cavallo e del cuoio delle vicine botteghe di materassaio e
calzolaio, lui e gli altri sarti cucivano e riparavano le uniformi blu scuro
del personale e la biancheria, le lenzuola e i completi grigi dei pazienti. (…)
Ogni paziente lavoratore riceveva un pasto in più al giorno (alle undici di
mattina, a base di pane, formaggio e pappa d’avena) e cinque scellini al mese,
un ottavo dello stipendio medio corrente. Robert poteva usare i suoi soldi,
annotati come credito in un registro tenuto dall’amministratore di Broadmoor,
per ordinare provviste supplementari come tè e tabacco, o semi da piantare
nella sua aiuola. (…) Robert imparò a suonare nuovi strumenti (il violino, il
pianoforte, la cornetta) e diventò un membro entusiasta della banda degli
ottoni del manicomio.»
Tutto ciò lo portò, una volta libero, ad
una nuova fase della sua vita, in Australia.
Il ragazzo cattivo di Kate Summerscale, edito da Einaudi,
è il racconto, ricco nei contenuti e stilisticamente sorvegliato, del delitto, castigo e redenzione
di Robert: la maturazione della sua nuova identità è l’affermazione che nessun
finale è scontato, che, talvolta, alla seconda possibilità che la vita concede,
si riesce a rispondere in pienezza.
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