Non avevano
avuto un’infanzia facile, Antonietta e Teresa, ma non l’avrebbero mai definita
triste. Se non per la morte del padre, avvenuta quando la prima aveva dieci
anni e la seconda otto.
La loro
madre, Carmela, che insegnava in una scuola elementare della periferia, si era
trasferita nella casa di sua madre, anche lei vedova, e le quattro donne
avevano cominciato a vivere insieme, facendosi calore a vicenda. Un’esistenza
quieta, senza troppe scosse, dai colori tenui ma non spenti.
Teresa s’era
sposata per prima. Le rimaneva ancora la tesi, ma Giulio, più grande di lei di
otto anni, lavorava in uno studio d’avvocati di buon nome e uno stipendio bastava,
almeno per i primi tempi. Un matrimonio sereno, fino a quando compresero che il
primo figlio non era venuto non perché ne avessero procrastinato l’arrivo al
dopo laurea di Teresa, ma perché non ne potevano avere. Anzi, non ne poteva
avere lei.
Certezza che
si ebbe qualche giorno prima del matrimonio di Antonietta. Durante la cerimonia, Antonietta, che era
felice di sposare Fabrizio, e Teresa, che non voleva far dispiacere la sorella,
accantonarono il problema.
Ma non fu
per molto. Teresa e Giulio chiesero ben presto l’annullamento del matrimonio –
lui avrebbe ereditato da una zia facoltosa, ma a condizione avesse già almeno
un erede – e Teresa tornò a casa della mamma e della nonna.
Antonietta
pensò, per qualche tempo, di poter fare accettare a Fabrizio una scelta
che a lei pareva naturale: niente figli neppure per loro, per non dare un
dolore in più a Teresa. Ma Fabrizio rispondeva che era un sacrificio folle. Il
matrimonio si concluse presto con la separazione e anche Antonietta tornò a
casa.
Le quattro
donne ricominciarono a vivere insieme. La nonna era ormai molto vecchia ma la
mente le reggeva, la mamma, dopo la pensione, continuava, come sempre aveva fatto,
a studiare, Antonietta e Teresa lavoravano, l’una nella studio di un
architetto, l’altra insieme ad un commercialista.
In casa, si
sentivano al caldo e nessuna di loro si sarebbe definita triste.
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