Occhio non è
che un piccola frazione di un piccolo quartiere di una piccola città di
provincia.
Una nobile
origine magnogreca, un po’ storia romana alle spalle, il ricordo di mandorle e
bergamotti, qualche ammirabile tradizione contadina, e poco altro. In un elenco
di punti a favore e a sfavore, i secondi, oggi, batterebbero i primi con
facilità.
Ma mantiene una
bellezza su cui non teme rivali: la sua luce.
Non saprei
definirla. Chi riuscisse a farlo in pochi versi, supererebbe la perfezione
suprema dell’Infinito leopardiano.
Ci sarà
certo un motivo – lo Stretto, i venti o chissà che – per questa particolare
luminosità della luce. Magari questo essere il centro di una conca che
abbraccia uno di quegli orizzonti che smentiscono la casualità del mondo affermando l’esistenza di Dio.
Stasera,
l’Etna è azzurro-violacea, una sfumatura più lieve delle montagne intorno,
ricoperte tutte, alla sua destra (rispetto al mio sguardo) di nuvole dello
stesso colore, quasi soffici sciarpe che abbracciano forti spalle. Su di lei
(sì, il vulcano è maschile e non è una persona: ma io le ho sempre parlato: al
femminile e dandole del lei), una luce diffusa, rosata, accesa di linee più
scure, una striscia di fuoco parte dal suo lato sinistro, allungandosi verso
Pellaro.
Ci fosse un
Monet, passerebbe la vita a dipingere sempre quest’angolo: l’Etna lontana, il
mare, la spiaggia calabra: in ogni ora del giorno, in ogni stagione.
Io non posso
che soltanto guardare. E gli occhi mi si fanno più grandi. Si allargano per
farci entrare dentro almeno un po’ di questa infinita bellezza.
Ps. Alle
medie, un’insegnante sadica diede (solo a me, che non ero della città) il
compito di trovare il perché del nome Occhio. Non avevo alcuno strumento per
farlo e mi arrampicai sugli specchi. Continuo a non saperne lo storico perché. Ma chiunque l’abbia
pensato per questo luogo deve aver sentito i suoi occhi allargarsi.
Nessun commento:
Posta un commento