sabato 24 dicembre 2016

La luce di Occhio








Occhio non è che un piccola frazione di un piccolo quartiere di una piccola città di provincia.

Una nobile origine magnogreca, un po’ storia romana alle spalle, il ricordo di mandorle e bergamotti, qualche ammirabile tradizione contadina, e poco altro. In un elenco di punti a favore e a sfavore, i secondi, oggi, batterebbero i primi con facilità.

Ma mantiene una bellezza su cui non teme rivali: la sua luce.

Non saprei definirla. Chi riuscisse a farlo in pochi versi, supererebbe la perfezione suprema dell’Infinito leopardiano.

Ci sarà certo un motivo – lo Stretto, i venti o chissà che – per questa particolare luminosità della luce. Magari questo essere il centro di una conca che abbraccia uno di quegli orizzonti che smentiscono la casualità del mondo affermando l’esistenza di Dio.

Stasera, l’Etna è azzurro-violacea, una sfumatura più lieve delle montagne intorno, ricoperte tutte, alla sua destra (rispetto al mio sguardo) di nuvole dello stesso colore, quasi soffici sciarpe che abbracciano forti spalle. Su di lei (sì, il vulcano è maschile e non è una persona: ma io le ho sempre parlato: al femminile e dandole del lei), una luce diffusa, rosata, accesa di linee più scure, una striscia di fuoco parte dal suo lato sinistro, allungandosi verso Pellaro.

Ci fosse un Monet, passerebbe la vita a dipingere sempre quest’angolo: l’Etna lontana, il mare, la spiaggia calabra: in ogni ora del giorno, in ogni stagione.

Io non posso che soltanto guardare. E gli occhi mi si fanno più grandi. Si allargano per farci entrare dentro almeno un po’ di questa infinita bellezza.



Ps. Alle medie, un’insegnante sadica diede (solo a me, che non ero della città) il compito di trovare il perché del nome Occhio. Non avevo alcuno strumento per farlo e mi arrampicai sugli specchi. Continuo a non saperne lo storico perché. Ma chiunque l’abbia pensato per questo luogo deve aver sentito i suoi occhi allargarsi.

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