Da quando le avevano
proibito latte e caffè (il the l’aveva abbandonato da tempo) Teresa
faceva colazione con una tisana, adatta più ad addormentarsi che a svegliarsi.
Di solito, la cosa non la
infastidiva più che tanto (in fatto di alimentazione era più abituata a
togliere che a mettere), ma quella come altre mattine s’era già alzata stanca
e il tepore della tisana, invece che confortarla, accentuò una debolezza
diffusa delle ossa e dello stomaco e allargò il vuoto che avvertiva intorno al
cuore.
Faceva colazione seduta
davanti al computer e le prime pagine dei giornali le accrescevano inquietudini
e malinconia.
La sera, talvolta, le
faceva paura, affollandole la mente di fantasmi. Ma era uno spavento di paure
concrete, una palla all’interno del petto, che si poteva un po’ sgonfiare
avvicinando il sonno col concentrarsi sul respiro. Il primo mattino, se si
svegliava già triste, era peggio. La mente vagava in uno struggimento diffuso,
una voglia di sciogliersi nel pianto, di ritirarsi in una solitudine assoluta,
senza più parole e, forse, senza più neppure pensiero.
Chiuse il computer e, con
passi leggeri per non svegliare gli altri di casa, raggiunse un capiente
stanzino-ripostiglio, dove l’aspettava una cesta di panni da stirare.
Stirare non le
dispiaceva, forse il conforto del calore, quel dispiegarsi della stoffa come un
rilassamento della mente. Ma le salirono le lacrime agli occhi, dal fondo in
cui ora abitava: quello che le sbatteva in faccia ogni sconfitta, facendole
sentire tutta la sua vita come un cumulo di errori imperdonabili.
Finito di stirare, scese
per la spesa. Aveva in programma, per l’indomani, domenica (questi sprofondi in
un buco nero le capitavano per lo più nei giorni di vacanza dal lavoro) dei
cannelloni al ragù. Al supermercato vicino casa trovò il macinato di chianina,
ma non la pasta della marca che le interessava. Si chiese se fosse il caso di
cambiare menù o di adattarsi a quanto il supermercato le offriva.
Non si diede risposta e
tornò a casa. Poco dopo, senza averci pensato, si rimise una giacca e scese
verso un altro supermercato. Neppure lì trovò i cannelloni che cercava. Mi farò
il giro delle botteghe, si disse e continuò a camminare. Il sole si stava
alzando facendo prevedere, dopo una settimana umida e piovosa, una bella
giornata; l’aria era fresca e azzurra.
Teresa gonfiò le narici
per respirare profondamente, avvertì i piedi sul terreno, si compiacque per il
movimento delle gambe e il sollevarsi e abbassarsi del petto, il calore delle
mani. Si sentì felice d’essere lì, a camminare su una strada qualunque, a
cercare, semplicemente, una pasta.
Le tornò in mente che,
una volta, aveva letto un articolo in cui Natalia Ginzburg parlava del pozzo in
cui cadono le donne. L’aveva aiutata a non sentirsi troppo strana. Ma ancora si
stupiva che, una volta risucchiata in un buco nero, poi bastava un refolo d’aria,
una parola, un’impercettibile niente a rimetterla coi piedi per terra, la testa
sul collo, e il cuore, grato, oltre l’orizzonte.
Che bello, Maria! Un racconto che inneggia alla positività, anche considerando i buchi neri nei quali si cade e che tu descrivi con precisione. Una lettura molto gradevole, e agile. Grazie!
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