Quando s’erano
conosciute, ad un pic nic di beneficenza d’una associazione di volontariato, Teresa
aveva immediatamente provato più stima per Lucrezia che per Ninetta.
Lucrezia non faceva l’ingegnere, lo era. Accurata, razionale, bruscamente
cortese. Elegante nel vestire, curata nell’aspetto, emanava un senso di ordine
e precisione. Ironica, curiosa, gli occhi che sprizzavano intelligenza viva,
trattava con tutti, ma sembrava non concedersi del tutto a nessuno. Aveva un
marito gentile e una figlia inquieta, che, alle soglie dell’adolescenza, le
dava non pochi problemi.
Ninetta era semplice e
genuina, buona ed allegra. Appena robusta, la voce calda e accogliente, gli
occhi ridenti, pareva un pezzo di pane saporoso e fragrante. Insegnava
matematica in un liceo al centro della città e non nascondeva di viversi
soprattutto come moglie e madre. Aveva due figli, studiosi e tranquilli, uno di
quindici anni e uno di otto, quasi due figli unici per la distanza d’età fra di
loro.
Che in Ninetta prevalesse
il cuore e in Lucrezia la testa, era quello che faceva pendere Teresa dalla
parte di Lucrezia. Anche Teresa aveva figli, che curava maniacalmente, ma
provava una sorta di non detto orrore verso ogni forma di
affermazione/esaltazione della maternità. Si considerava e voleva essere vista
soprattutto come un’intellettuale.
Poiché Lucrezia e Ninetta
erano molto amiche fra di loro e non c’era iniziativa cui non partecipassero
insieme, per anni Teresa frequentò entrambe, senza mai mutare la sua
predilezione per Lucrezia.
Quando Lucrezia, per
lavoro, si trasferì all’estero (il marito rimase in Italia e di lì a poco si
separarono ufficialmente), Teresa finì col non vedere più neppure Ninetta. La
ritrovò in un ospedale, dove era andata a visitare una zia. Non le restavano che
pochi mesi di vita.
Teresa – che, negli anni,
s’era messa alle spalle ogni desiderio di definirsi in qualsiasi modo – l’andò
a trovare spesso, e, nelle fasi meno acute della malattia, la portò a cinema, a
teatro e in spiagge solitarie dove si raccontarono l’anima. Imparò a volerle
bene e a stimarla molto. Per la dignità con cui affrontava il calvario verso la
fine. Umile e fiera, nel voler morire ancora viva.
Cinque mesi dopo la sua
morte, Teresa incontrò Francesco in un bar del centro. Sembrava rilassato e
contento di sé. Accanto a lui, c’era una donna dall’aria incerta, i capelli un
po’ scomposti, la gonna fasciante e una scollatura a cuore. “Ti presento Dora,
la mia compagna.”
Teresa sorrise, scambiò amabili
cortesie di circostanza, mentre in mente le continuava a martellare una
conversazione tra Wentworth e Anne Elliot in Persuasione: «Un uomo dal cuore trafitto, ferito, quasi spezzato!
Fanny Harville era una creatura superiore, e l’amore di Benwick per lei era
davvero amore. Un uomo non può riaversi da una devozione profonda come quella,
e per una donna come quella! …Non dovrebbe …non può.»
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