Un piccolo cerchio
affettuoso di figli, nuore, nipoti, parenti ed amici si stringe intorno alla
salma che il parroco sta benedicendo.
Da un punto di vista
religioso, la defunta è stata donna di fede semplice e genuina, naturalmente cristiana.
Figli e nipoti, al
contrario, non frequentano normalmente la chiesa; qualcuno se n’è allontanato
da poco, qualche altro fin dalla prima comunione o giù di lì.
Tutti ripetono insieme al
prete il Padre nostro e l’Ave Maria con composta, intensa,
partecipazione.
Sebbene siano ormai
lontani dalla loro quotidianità, ricordano ancora
segni e parole della cristianità e, se il cuore lo chiede, possono richiamarli
alla mente, far affiorare sulle labbra.
La tradizione religiosa si è in loro attutita e/o trasformata, ma,
magari senza o nonostante la propria volontà, non è del tutto annullata.
Ma è una tradizione che,
non sentita come propria, anzi avvertita come qualcosa da cui è meglio, (necessario,
opportuno) allontanarsi, non ha motivo d’essere trasmessa.
Non è difficile
immaginare, quindi, che i pronipoti cresceranno senza recitare le preghiere del
mattino e della sera. Per loro, il cristianesimo sarà un residuo del passato,
magari con le sue bellezze, ma in fondo inutile
(inessenziale alla propria vita) più dei merletti della bisnonna. Oppure
sarà la loro scelta, la loro scoperta, la novità del loro futuro.
L’ultima messa celebrata
da padre Giusto Pala cui mi capitò di partecipare (era la fine degli anni
novanta) è stata una commemorazione di una signora defunta. Finita la funzione,
ai tanti che si complimentavano per la forza della sua omelia, padre Giusto
disse che, in una società sempre più velocemente lontana dalla chiesa, le messe
per i defunti sarebbero diventate un (il?) momento centrale dell’evangelizzazione.
Una delle poche occasioni in cui ascoltatori in fondo involontari avrebbero potuto
essere davvero raggiunti dal vento
leggero di una Parola fino a quel
momento inaudita.
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