Cosa diranno i parroci di
Goro, Gorino e dintorni nell’omelia della prossima domenica?
(Il Vangelo sarà quello
del peccatore Zaccheo che, pentito,
dichiara che darà «la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a
qualcuno, restituisco quattro volte tanto»).
Mentre un nugolo di
abitanti del ferrarese – molto probabilmente cattolici, battezzati e sposati in chiesa – ha negato l’ospitalità
a un gruppetto di profughi, 12 donne, di cui una incinta e 8 bambini, in
Calabria, a Platì, un parroco presentava un ricorso contro la decisione di
evitare i funerali pubblici a un presunto boss di ‘ndrangheta.
Si tratta di due
avvenimenti profondamente diversi, qui legati da una domanda: quanto contano i
pastori d’anime in un tempo così complesso?
Naturalmente – anche quando
vengono ascoltati – non è che, ad un pastore
santo corrisponda un santo gregge,
ma avere dei parroci saggi è una gran cosa (soprattutto quando il gregge è
refrattario e difficile da educare).
Quello di Platì non mi
sembra all’altezza del compito.
In Calabria – nella quotidiana
realtà, non nei documenti, magari molto belli – ci sono ancora parrocchie che continuano
a chiudere gli occhi di fronte alla ‘ndrangheta, a inchinarsi di fronte a suoi uomini.
E questo fa male, molto,
sia alla Chiesa che alla società.
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