«Il problema della Calabria non è tanto di genere, quanto di autoreferenzialità, di circoli chiusi, non abbiamo, diciamocelo una buona volta, la capacità di fare rete, e spesso non leggiamo i nostri autori per capire anche qualcosa di noi. Le donne, ma in letteratura come in altri ambiti, cadono nelle maglie strette dell’oscurantismo. L’ho detto già, e mi spiace, ma abbiamo fatto della terra tanti piccoli orti, abbiamo alzato steccati. Mi è piaciuto molto trovare nei bar, nei ristoranti di Messina il libro di Nadia Terranova, sugli scaffali come una reliquia, mi hanno raccontato miracoli di lei, c’era così tanto orgoglio negli occhi del ristoratore… Noi, invece, a una presentazione abbiamo chiesto all’autore in lizza a un premio se aveva sentito parlare di autori calabresi importanti fornendo già la risposta: Alvaro. Dimenticando che tra i finalisti figurava un autore calabrese e altrettanto bravo. Hai citato autrici a me molto care, Angela Bubba, Sonia Serazzi, Rosella Postorino, sono donne, sono calabresi, sono voce. A settembre uscirà il mio nuovo libro: Madri. Storie di Lena di lune e di maree, Castelvecchi.»
Così Marisa Fasanella, qualche settimana fa, rispondendo ad una mia osservazione sulla narrativa calabrese rimasta, anche in questi anni di una certa vivacità, troppo maschile. Osservazione, la mia, volutamente retorica, non solo perché “discutibile” che parlando di letteratura, si debba discutere di “regioni” e di “sesso”, ma soprattutto perché, sebbene non tutte sufficientemente conosciute e valorizzate dal mercato editoriale, non mancano autrici calabresi di rilievo.
Compresa, e in posizione alta, la stessa Marisa Fasanella, autrice di testi forti, complessi, segnati da uno stile personale. Su Zoomsud, si può leggere la mia recensione al suo ultimo libro Il male in corpo, testo originale e maturo (https://www.zoomsud.it/index.php/cultura/106239-le-recensioni-di-maria-franco-il-male-in-corpo-di-marisa-fasanella-castelvecchi), ma la forza della sua voce si può osservare anche nei suoi primi lavori.
Nina – pubblicato da Editori Riuniti nel 2014 e poi ripubblicato da Prospero nel 2016 – disegna, un Sud arcaico e ancestrale, cupo nel suo essere periferia della storia, preda di signorotti feroci e senza una reale presenza statale (siamo negli anni che vanno dalla guerra di Libia alla prima guerra mondiale) Ma la storia d’amore tra l’ufficiale medico senza nome – l’Uomo, è definito – e Nina, moglie involontaria del violento Jacopo Degli Armenti, nel contesto dei tentativi pur confusi di ribellione dei contadini, ha sapore, nonostante qualche eco verghiana, di libertà e di speranza. Scritto su due registri – la narrazione degli eventi in terza persona e le lettere di Nina in prima – il libro trova nella protagonista femminile un personaggio di straordinaria forza e attualità. Grazie ad una zia, Nina sa che se la scrivi, la vita non ti ammazza e affida il suo cuore e le sue scelte all’inchiostro sparso sulle lenzuola. Consapevole che la libertà, quella delle donne in particolare, passa dalla fuoruscita dal silenzio e da una voce che, invece di disperdersi nel vento, sia capace di “restare”.
Romanzo d’amore, rivisitazione storico-leggendaria del passato, con intarsi psicologici, Nina presenta una delle donne più intense della recente narrativa calabrese, l’unica che mi sentirei di accostare alla siciliana Marianna Ucria di Dacia Maraini.
Pubblicata su Zoomsud:
http://www.zoomsud.it/index.php/cultura/108163-la-recensione-nina-marisa-fasanella-prospero-edizioni
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